Il 24 marzo si ricorda l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ovvero l'uccisione di 335 tra civili e militari italiani, dissidenti politici, ebrei e detenuti comuni, avvenuto in questa data a Roma nel 1944.
Questa sommaria esecuzione fu una rappresaglia per un attentato partigiano avvenuto il giorno prima sempre a Roma, in via Rasella, in cui rimasero uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" della polizia tedesca.
L'eccidio avvenne appunto alle Fosse Ardeatine, delle cave di pozzolana in via Ardeatina.
Contrariamente a come si è sostenuto per anni nessuna autorità tedesca chiese ai partigiani di consegnarsi per evitare l'uccisione di 10 detenuti italiani per ogni tedesco ucciso.
Lo stesso ufficiale nazista Albert Kesselring, colui che aveva dato il via libera finale a questa decisione, sostenne durante il processo che lo vedeva imputato che la volontà del Reich era quella di agire rapidamente e in segretezza.
Per questo la scelta del luogo non fu casuale e cadde sulle fosse in via Ardeatina, il luogo era perfetto per occultare questa strage, infatti subito dopo l'eccidio i corpi vennero tumulati in modo sbrigativo all'interno della cava.
Il colonnello Herbert Kappler fu incaricato di scegliere i todenskandidaten, i condannati a morte, con l'aiuto degli ufficiali della Gestapo romana e della questura di Roma, nella figura di Pietro Caruso, il quale avrebbe garantito la presenza di 50 detenuti dal carcere di Regina Coeli.
Nel giro di una notte gli ufficiali avevano stilato una lista di nomi.
Tra gli ufficiali nazisti responsabili spicca in particolare la figura di Erich Priebke.
Sarà lui infatti a gestire in loco l'esecuzione, spuntando minuziosamente la lista di nomi.
La descrizione che viene fatta dell'eccidio è la scena di un film dell'orrore.
Condotti alla cava i prigionieri vengono divisi in gruppi di cinque e fucilati un quintetto alla volta.
I corpi non vengono nemmeno rimossi, si fa semplicemente disporre il gruppo successivo.
La situazione divenne a un certo punto caotica.
Alcuni detenuti tentano la fuga, altri si ribellano, le esecuzioni che all'inizio erano precise e letali diventano uno sparare confuso, con i soldati che salgono sui cadaveri per prendere la mira. Secondo alcune testimonianze i soldati vengono fatti ubriacare per poter terminare il lavoro, alcuni si rifiutano di sparare.
Priebke si accorse di aver inserito nella lista 5 detenuti di troppo, li farà giustiziare comunque in quanto avevano visto tutto.
Terminate le esecuzioni vennero fatte esplodere delle cariche all'entrata della cava, così da farla crollare ed occultare per sempre i cadaveri.
Ma già il giorno stesso alcuni salesiani di un monastero lì vicino, attirati dalle esplosioni, riuscirono ad entrare nella cava, trovandosi di fronte cadaveri ammassati l'uno sull'altro.
Le vittime dell'eccidio delle fosse ardeatine non hanno mai ottenuto una reale giustizia.
Albert Kesselring fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine.
La sentenza venne però commutata nel carcere a vita, pochi anni dopo fu scarcerato per motivi di salute e tornò in Germania dove morì nel 1960.
Herbert Kappler venne processato da un tribunale militare italiano nel 1948. I giudici militari decretarono che ciò che era accaduto alle fosse ardeatine non si poteva considerare una rappresaglia legittima per le leggi militari dell'epoca, ma allo stesso tempo ritennero che Kappler non ne fosse consapevole, quindi lo prosciolsero dall'accusa. Lo ritennero però colpevole dell'omicidio di 15 delle 335 vittime che, secondo i giudici, morirono per mano di Kappler. Pertanto l'ufficiale nazista fu condannato all'ergastolo.
Nel 1976, malato di tumore, fu ricoverato nell'ospedale militare del Celio.
Da qui evase il 15 agosto 1977 e trovò rifugio in Germania, dove morì nel 1978.
L'ex-capitano delle SS Erich Priebke venne arrestato nel 1945 ma riuscì ad evadere dal carcere di Rimini.
Nel 1947 visse in Alto Adige, a Vipiteno, con la moglie e i figli e successivamente riuscì a scappare in Argentina.
A scovare Priebke sarà casualmente un giornalista della ABC, Sam Donalson, conduttore del programma Prime Time Live.
Nel 1994 il giornalista americano, su segnalazione della Fondazione Simon Wiesenthal, si recò in Argentina per verificare se effettivamente nel Paese si fossero nascosti criminali nazisti, alcuni testimoni avevano segnalato una specifica città, San Carlos de Bariloche.
Arrivato lì Donalson parlò con gli abitanti della cittadina e un altro fuggitivo tedesco gli disse tranquillamente che in quella ridente località si erano rifugiati diversi ufficiali del Reich, e gli fece il nome di Priebke.
Donalson non conosceva le vicende che lo riguardavano, così si documentò sulla sua storia ed andò a cercarlo.
Il giornalista incontrò Priebke mentre tornava a casa dal lavoro, l'ex ufficiale nazista non negò la sua vera identità.
Quando il servizio della ABC divenne pubblico l'Italia iniziò le pratiche per l'estradizione, che fu accolta nel 1995.
Dopo un processo lungo e tortuoso Priebke venne condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.
Considerata l'età avanzata dell'imputato gli vennero concessi gli arresti domiciliari.
Erich Priebke morirà a Roma nell' ottobre del 2013.
La latitanza sudamericana di Priebke, così come quella di altri suoi commilitoni nazisti, è una vergognosa pagina della storia della chiesa cattolica.
Priebke riuscì a fuggire in Argentina grazie all'aiuto di alcuni sacerdoti altoatesini, Johann Corradini, l'allora parroco di Vipiteno, e soprattutto grazie al Vicario generale della diocesi di Bressanone Alois Pompanin, il quale aveva già aiutato a fuggire in Sudamerica Adolf Eichmann.
Da Corradini Priebke ricevette il battesimo cattolico, condizione necessaria per poter ottenere l'aiuto della Chiesa di Roma.
Priebke si recò a Genova e con dei documenti falsi partì per l'Argentina nel 1948.
Come dicevamo Priebke non fu l'unico criminale di guerra a trovare nella Chiesa cattolica un valido aiuto per fuggire.
Esisteva infatti un complesso sistema organizzato che garantì la salvezza a molti criminali nazisti.
Questo sistema si chiamava Rattenlinien.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale
gli ufficiali nazisti sfuggiti al processo di Norimberga crearono a Strasburgo
l'organizzazione O.D.E.SS.A (Organizzazione degli ex-membri delle SS) che aveva il compito non solo di trasferire all'estero i capitali accumulati dal Reich, in particolare in Spagna dove vigeva la dittatura dell'amico Francisco Franco, ma anche di garantire la fuga dall'Europa ai suoi membri.
Da qui la creazione della Rattenlinien per permettere la fuga in Sudamerica di numerosi criminali di guerra nazisti.
Rattenlinien significa "via del ratto".
I nazisti come topi che abbandonano una nave che affonda.
La Rattenlinien fu uno dei progetti purtroppo più riusciti dell'organizzazione, ed è nota anche
come via dei monasteri in quanto questi edifici di proprietà della chiesa cattolica furono il primo nascondiglio per molti criminali nazisti.
Luoghi sacri che prima spesso avevano ospitato le vittime del nazismo ora ne ospitano i carnefici.
Figure di spicco del partito nazista quali Josef Mengele, Adolf Eichmann ed appunto Erik Priebke trovarono rifugio in Sudamerica grazie anche all'intervento di figure autorevoli della chiesa cattolica.
In particolare fu determinante l'intervento del vescovo austriaco Alois Hudal (1885-1963) da sempre simpatizzante del regime e fervente antisemita.
Sarà proprio Hudal a preparare i documenti per Erich Priebke.
Secondo molti testimoni Hudal era molto vicino agli ambienti del Vaticano e amico personale di papa Pio XII.
Karl Bayer, paracadutista dell'esercito tedesco che collaborò col vescovo, sostenne che il Papa aveva fornito il denaro per la creazione dei documenti falsi e per i trasporti oltreoceano.
Nel 1947 il giornale cattolico “Passauer Neue Presse” accusò pubblicamente Hudal di aver organizzato la fuga dei criminali di guerra, e il vescovo dal canto suo non ha mai negato ciò che ha fatto.
Nonostante la sua ammissione di colpa nessuno intervenne; Hudal non rinnegò mai il suo operato, anzi, continuò a sostenere di aver operato nel giusto. Venne invitato a dimettersi solo nel '52, e si ritirò a vita privata a Grottaferrata.
La motivazione di Hudal, così come quella
della Santa Sede, di fare fuggire questi criminali di guerra va ricercata
nella necessità del Vaticano (e degli Stati Uniti d'America, spesso partner in crime di queste operazioni) di arginare l'avanzata del comunismo ateo.
Della serie, il nemico del mio nemico è mio amico.
Tra i nomi dei prelati coinvolti in queste operazioni spiccano quelli di Giuseppe Siri, vescovo di Genova, e di monsignor Giovanni Montini, colui che diventerà papa Pio VI.
Una seconda rotta, detta di San Girolamo, si occupava invece di far fuggire nel Nuovo Mondo gli ustascia croati coinvolti nei crimini nazisti nella ex Jugoslavia.
Dalla Germania i criminali nazisti giungevano a Genova passando attraverso Madrid o Salisburgo, e dal capoluogo ligure potevano imbarcarsi per il Sudamerica.
Un ruolo importante lo giocò anche la collaborazione del presidente argentino Juan Domingo Perón (1985 – 1974) che incentivò i nazisti a trasferirsi nel suo paese, dove avrebbero trovato un nascondiglio sicuro. Ovviamente pagando profumatamente la permanenza, dettaglio che non fu un problema.
La chiesa cattolica ha tentato di usare il vescovo Hudal come capro espiatorio per la Rattenlinien, ma fu lo stesso prelato ad autoaccusarsi, o meglio, a darsi il merito di aver salvato più di 1000 ufficiali nazisti, definiti da lui perseguitati ingiustamente.
E aggiunse con sicurezza di aver svolto il suo compito su richiesta diretta del Vaticano.
Il Vaticano dunque forniva dei documenti provvisori col timbro ufficiale della Pontificia commissione di assistenza, a cui seguivano passaporti e lasciapassare rilasciati dalla Croce Rossa Internazionale.
Proprio lo studio dei documenti rinvenuti negli archivi post bellico della Croce Rossa ha tolto ogni dubbio sul coinvolgimento della Chiesa nella Rattenlinien.
Coinvolgimento che ha impedito alle vittime delle atrocità commesse dai nazisti di avere una rapida e totale giustizia.
(L'immagine di copertina è un fotogramma della scena finale del film del 2002 Amen diretto da Costa-Gavras. In questa scena, SPOILER, si vede uno dei protagonisti, un nazista chiamato semplicemente il Dottore, incamminarsi insieme a un prelato cattolico che lo aiuterà a fuggire in Argentina per sfuggire ai suoi crimini.)
Nessun commento:
Posta un commento