giovedì 31 marzo 2022

Buio in sala: L'esorcista, un set maledetto.



Al cinema tutto può essere reale.
Anche la storia più incredibile prende forma davanti ai nostri occhi.
Ma a volta la storia più incredibile non è sullo schermo, ma dietro le quinte.
Nel 1973 esce nelle sale cinematografiche “L’esorcista”, film del regista statunitense William Friedkin, tratto dal bestseller di William Peter Blatty.
La trama è nota.
Un’attrice di successo (Ellen Burstyn) nota dei preoccupanti cambiamenti nel comportamento della figlia dodicenne Regan (Linda Blair).
Se all’inizio dà la colpa al suo burrascoso divorzio e agli sbalzi ormonali tipici dell’età la donna comincia piano piano a capire che in realtà la figlia è afflitta da un male più oscuro.
Dopo una serie di esami medici inconcludenti la situazione degenera e la donna decide di rivolgersi a padre Karras (Jason Miller), sacerdote laureato in psichiatria molto scettico sull’argomento e in crisi mistica che alla fine si convince della necessità di praticare un esorcismo sulla ragazzina.
Karras chiede aiuto a un esorcista più esperto, padre Merrin (Max von Sydow), il quale mesi prima aveva incontrato un demone antico, Pazuzu, durante uno scavo archeologico in Iraq. I due si rendono conto che è proprio questo demone a possedere Regan, e ingaggiano un duello all’ultimo sangue con Pazuzu.
La pellicola ebbe un successo mondiale, venne anche candidata agli Oscar vincendone due.
Ecco alcune curiosità, Friedkin considerò Audrey Hepburn per il ruolo di Chris mcNeil, ma l'attrice avrebbe accettato solo se il film fosse stato girato a Roma, dato che lei viveva nella nostra capitale da anni e non voleva spostarsi. Jane Fonda rifiutò il ruolo perché riteneva il film "capitalist shit". 
Vennero contattate anche Debbie Reynolds e la figlia, all'epoca adolescente, Carrie Fisher.
Paul Newman era interessato a interpretare padre Karras, ma Friedkin per il ruolo non voleva una star del cinema, aveva però considerato Roy Schneider.
La scelta cadde su Miller anche perché aveva studiato dai gesuiti, e per prepararsi al ruolo si traferì per tre mesi in un istituto gesuita.
Ne valse la pena visto che venne nominato agli Oscar.
Gli studios volevano Marlon Brando per interpretare padre Merrin, ma Friedkin disse che non voleva che il film diventasse il Classic film Brando centrico, e spinse per avere Max von Sydow.
Jamie Lee Curtis disse di essere stata considerata per il ruolo di Regan e che sua madre rifiutò l'offerta, aneddoto sempre negato da Friedkin.
Tra tutte le giovani attrici accorse per interpretare Regan mcNeil la spuntò Linda Blair, durante il provino Friedkin le fece recitare un testo pieno di oscenità, e la ragazzilo fece senza scomporsi.
La scena in cui Regan si pugnala all'inguine col crocifisso non è stata girata da Linda Blair ma dalla sua controfigura maggiorenne, quest'ultima era anche colei che, posizionata dietro Linda, vomita verde addosso agli esorcisti.
La voce di Regan posseduta da Pazuzu è, nella versione originale, di Mercedes McCambridge, in quella italiana dell'attrice Laura Betti.
La madre di padre Karras fu interpretata da Vasiliki Maliaros, che non era un'attrice professionista, recitava nei teatri in lingua greca e faceva la cameriera, fu scelta perché a Friedkin ricordava sua madre.
Il regista portava con sé sul set una pistola e sparava senza preavviso per spaventare gli attori e filmarne le reazioni.
Miller si lamentò più volte: "Gli dissi di non farlo mai più. Sono un attore, se vuoi che mi spaventi dimmelo, te lo recito!" 
L'unica attrice che Friedkin avvisava in anticipo degli spari era Linda Blair.
Il film sbanca al botteghino nonostante e anche grazie alle numerose segnalazioni di spettatori colti da svenimento, conati di vomito, crisi epilettiche.
In molti cinema durante le proiezioni venne garantita la presenza di un medico in sala.
Nonostante la censura e le critiche ne furono girati due sequel: L'esorcista II - L'eretico del 1977 e L'esorcista III del 1990.
Nel 2000 Friedkin portò nuovamente il film nelle sale con una versione integrale non tagliata della pellicola con circa undici minuti di scene inedite.
Nel 2016 la Fox ha prodotto una bellissima serie tv sequel ispirata al film.
L’impatto del film è innegabile, non solo in ambito cinematografico ma anche culturale.
L’esorcista è uno dei film horror più conosciuti e citati in altre pellicole di qualsiasi genere, basta pensare alla sua parodia più celebre, Riposseduta (Repossessed) del 1990, che vede proprio Linda Blair riprendere il ruolo di Regan McNeill accanto a un esilarante Leslie Nielsen nei panni di un esorcista sui generis che deve nuovamente esorcizzare la protagonista del film, ormai adulta.
Se si parla di esorcismi inevitabilmente si pensa a questo film.
Levitazione, vomito verde, teste che ruotano di 360°.
Elementi che fanno sorridere ma che allo stesso tempo incutono una sorta di timore inconscio e sono ormai parte dell’immaginario collettivo sull’esorcismo.
Nel 2016 Friedkin tornerà a parlare di esorcisti questa volta girando per Netflix un documentario intitolato “Il diavolo e padre Amorth” (The evil and father Amorth)in cui il regista intervista il famoso esorcista italiano e lo filma mentre celebra un vero esorcismo, che si rivela essere molto diverso da quello da lui rappresentato nel film cult.
In questa pellicola inoltre vengono intervistati anche alcuni medici, neurologi e psichiatri, nel tentativo di aprire un dibattito sulla possibilità di dare una spiegazione scientifica e neurologica alla possessione diabolica. Il regista non ci fa mancare un colpo di scena finale, in pieno stile cinema horror.
L’esorcista diventa col tempo famoso non solo per la peculiarità della pellicola, ma anche per gli eventi tragici ad essa collegati.
Già il romanzo di Blatty da cui è tratto il film ha un’origine particolare, è ispirato infatti a una storia vera.
Blatty venne a conoscenza di un caso reale di possessione diabolica avvenuto nel 1949 nel Maryland. 
Roland Doe (nome fittizio utilizzato dalla stampa per tutelare il protagonista della vicenda) è un ragazzo di 14 anni.
Nato in una famiglia tedesca di fede luterana Roland è solito giocare insieme a una zia con una tavola ouija. Alla morte della zia il ragazzo continua da solo le sedute spiritiche, ed è a quel punto che in casa iniziano a verificarsi strani fenomeni paranormali: il letto del giovane trema, i mobili della sua stanza si spostano da soli, dalle pareti si sentono provenire rumori di unghie che graffiano i muri.
Il comportamento di Ronald cambia, il ragazzo diventa improvvisamente violento e volgare.
I genitori si rivolgono al loro pastore Luther Miles Schulze che sosterrà di aver assistito personalmente alla levitazione di alcuni oggetti in presenza di Roland.
Schulze si convince che Roland sia posseduto e invita la famiglia a contattare un prete cattolico affinché celebri un esorcismo.
I genitori del ragazzo si rivolgono a padre Edward Albert Hughes che dopo aver visitato Roland dichiara che è posseduto da un’entità.
Ottenuto il via libera dall'arcidiocesi nelle settimane successive nove sacerdoti gesuiti si alternarono nel celebrare un esorcismo sul ragazzo, si parla di addirittura 30 esorcismi necessari per scacciare il demone dal corpo di Roland.
Questa vicenda è stata ovviamente molto dibattuta, in quanto pare che sul ragazzo non fossero stati effettuati esami medici, necessari prima di poter procedere con un esorcismo per escludere eventuali patologie. Inoltre molti giornalisti anni dopo si misero in contatto con familiari e amici di Roland, i quali dissero che il ragazzo era solito organizzare scherzi ai danni dei genitori e compagni di scuola.
Nacque quindi la teoria che probabilmente Roland aveva voluto solo prendersi gioco dei genitori e ottenere da loro attenzioni fingendo una possessione.
Vera o no, la storia di Roland divenne quella di Regan McNeil, e fu improvvisamente reale grazie alla magia del cinema.
Magia nera, forse, qualcuno sussurra.
Attorno alla pellicola aleggia infatti un’aura scura di cattiva sorte.
Si parla addirittura di pellicola maledetta.
Numerosi furono gli incidenti capitati alle persone coinvolte nelle riprese.
Un corto circuito provocò un incendio che distrusse gli interni della casa dei protagonisti, incredibilmente si salvò dalle fiamme solo la camera da letto di Regan dove sarà girata la celebre scena dell’esorcismo.
Durante le riprese morirono nove persone legate al cast e alla produzione: il fratello di Max von Sydow, la nonna di Linda Blair, il figlio neonato di un tecnico.
Mosì anche un addetto alla refrigerazione del set.
L’attore Jack MacGowran morì a causa delle conseguenze di una brutta infezione poco prima che L'esorcista uscisse nelle sale. Nel film il suo personaggio viene ucciso brutalmente da Regan.
Jordan Miller, figlio dell’attore che interpreta padre Karras, ebbe un incidente di moto mentre si recava a trovare il padre sul set.
Ellen Burstyn ebbe un incidente sul set e riportò danni permanenti alla colonna vertebrale.
Anche Linda Blair ebbe problemi alla schiena dopo aver girato la scena dell’esorcismo.
A un certo punto fu chiesto a un prete gesuita, Thomas King, di benedire il set.
L’Italia è protagonista di una strana leggenda secondo cui a Roma una croce alta due metri cadde dal tetto di una chiesa dopo essere stata colpita da un fulmine. La chiesa in questione si trova vicino al cinema Metropolitan che quella sera stava proiettando il film.
Leggende metropolitane, superstizioni, intenzione di farsi pubblicità.
Forse la maledizione de L’esorcista è solo questo.
Oppure c’era davvero un’entità oscura ad aggirarsi sul set.
Più umana di quanto possiamo immaginare.
Nel cast de L'esorcista c’è un giovane attore, Paul Bateson, interpreta il radiologo che visita Regan in ospedale.
Un ruolo marginale, una comparsata.
Il suo nome diventerà famoso quando verrà arrestato nel 1979 con l'accusa di aver ucciso un giornalista, Addison Verrill, e sospettato per la morte di diversi uomini omosessuali.
Paul Bateson, classe 1940, nacque e crebbe in Pennsylvania. Dopo anni di servizio militare in Germania si trasferì a New York.
Qui si fidanza con un musicista gay, la relazione burrascosa lo trascina nell’alcolismo, alla vita sregolata si aggiunge anche il dolore per la morte della mamma e del fratello per suicidio.
Bateson si iscrive all’università per diventare tecnico di laboratorio di radiologia neurologica e cominciò a lavorare in ospedale, al NYUMC, il New York University Medical Center.
Qui Bateson incontra William Friedkin, che sta facendo ricerche per la sceneggiatura de L’esorcista.
Il dott. Barton Lane, primario del reparto, invitò il regista ad assistere a una angiografia cerebrale.
Questo esame prevede che venga inserita una canula nel collo del paziente, e Friedkin rimase così impressionato da volerlo inserire nel film e chiese che fossero dei veri professionisti del settore a ripetere quell’esame sul set, così Bateson, che era stato presente alla dimostrazione, venne assunto come comparsa.
In una scena del film vediamo Bateson nel ruolo del radiologo che rassicura mentre Regan viene portata nella stanza, la aiuta a distendersi, la attacca al macchinario.
Questa scena è considerata tra le più disturbanti per il pubblico per il tipo di intervento, la cospicua presenza di sangue e per il suo incredibile realismo.
Quando uscì il film l'alcolismo di Bateson peggiorò, tanto che nel 1975 viene licenziato dal NYUMC.
Bateson si arrabatta tra mille lavori, tra cui quello di venditore di biglietti di cinema a luci rosse.
Qui comincia a socializzare con altri omosessuali con il suo stesso problema di alcolismo, cerca aiuto in loro, ha bisogno di un fidanzato che si prenda cura di lui e lo aiuti a disintossicarsi, magari un percorso da fare insieme. Inizia ad andare gli incontri degli Alcolisti anonimi, ma senza successo.
Inzia a frequentare locali gay appartenenti alla leather subculture, ovvero una nicchia della comunità gay dedita alle pratiche sadomaso e feticiste. Bateson inizia a identificarsi con questa cultura suburbana, e il suo alcolismo peggiora notevolmente.
In questo contesto Bateson conosce il giornalista Addison Verrill, che scrive di cinema e spettacolo per Variety.
Il reporter venne trovato morto nel suo appartamento nel 1977, picchiato e accoltellato.
L’assassino aveva anche cercato di strangolare la sua vittima.
Sul caso interviene un amico giornalista di Verrill, l’attivista per i diritti dei gay Arthur Bell.
In una serie di articoli Bell mette in luce un problema che sta dilaniando la comunità gay di New York, ovvero i crimini contro gli omosessuali che avvenivano ogni anno nel Village, e di come questi non fossero seguiti adeguatamente dalla polizia o riportati dai media.
Bell incitò i possibili testimoni del delitto a farsi avanti.
E Bateson decise di rispondergli.
Chiamò Bell affermando di essere l'assassino, ma lo fece unicamente per correggere Bell che aveva definito il killer come uno psicopatico.
"Mi piace come scrivi, ma non sono uno psicopatico", disse Bateson.
Si definì semplicemente un uomo gay con problemi di alcolismo e un gran bisogno di soldi.
Raccontò di essere andato in un bar una mattina presto e lì aveva incontrato Verrill con cui aveva bevuto birra e sniffato cocaina. 
Scoperto che il suo accompagnatore era un giornalista famoso aveva deciso di seguirlo a casa sua.
Qui i due avevano consumato un rapporto sessuale dopo il quale Bateson aveva ucciso Verrill perchè si era reso conto che per il giornalista si trattava solo di una storia di una notte.
Prima di andarsene aveva derubato la sua vittima e poi si era recato nel bar più vicino per ubriacarsi di nuovo.
Bateson rivelò dei dettagli sulla sua persona come il lavoro del padre e la sua permanenza in Germania.
Inoltre disse di aver usato il grasso alimentare Crisco come lubrificante durante il rapporto, dettaglio che la polizia non aveva rivelato ai media, e che quindi solo l’assassino poteva conoscere.
La polizia mise sotto controllo il telefono di Bell.
Ma a chiamare questa volta fu un certo Mitch, che indicò Bateson come il killer.
Lo aveva conosciuto all’ospedale, disse che Bateson era un tecnico radiologico che era stato licenziato e che gli aveva confessato il delitto.
Bateson venne arrestato, quando gli agenti gli chiesero se sapesse perchè lo stavano portando in centrale egli gli mostrò una copia del Village Voice con l’articolo di Bell sull’omicidio Verrill. 
Bateson confessò l’omicidio e venne condannato a vent’anni di prigione per omicidio di secondo grado. 
Almeno in carcere riuscì a rimanere sobrio, cosa di cui fu molto felice.
Venne rilasciato nel 2008, e da allora si sono perse le sue tracce. Si suppone sia morto in quanto in Pennsylvania un suo omonimo, nato il suo stesso giorno e con il suo numero di previdenza sociale, risulta deceduto nel 2012.
L’aura oscura di Bateson però è ancora legata a una serie di omicidi irrisolti che colpirono la comunità omosessuale di New York, i cosiddetti “bag murders”.
Tra il 1975 e il 1977 nel fiume Hudson sono stati trovati i cadaveri di sei uomini, mai identificati, smembrati e buttati dentro dei sacchi della spazzatura. 
La polizia sostenne che le vittime fossero membri della comunità LGTB che frequentavano i locali per omosessuali del Village.
Analizzando gli indumenti delle vittime la polizia giunse alla conclusione cne che queste fossero assidui ospiti dei locali della leather subculture.
I sacchi che contenevano i corpi avevano una codice, erano quelli usati dal dipartimento neuropsichiatria del New York University Medical Center.
Era inoltre evidente che chi aveva smembrato i corpi avesse conoscenze chirurgiche.
Data la natura del crimine che aveva commesso, i contatti con la cultura suburbana e le capacità mediche sviluppate proprio alla NYUMC Bateson divenne un sospettato per i bag murders.
Ci fu addirittura un testimone, Richard Ryan, che durante il processo dichiarò che Bateson gli aveva confessato non solo gli omicidi di altri tre uomini gay, accoltellati dopo un incontro sessuale nei loro appartamenti, ma anche gli omicidi dei sei uomini trovati nel fiume Hudson.
Qui entra in gioco nuovamente William Friedkin che leggendo i giornali riconosce Bateson come comparsa nel suo film e soprattutto per la sua visita al NYUMC per le riprese de L'esorcista.
Friedkin ottenne il permesso di visitare e intervistare Bateson a Rikers prima della fine del processo.
Il regista descrive Bateson come un bel ragazzo che amava indossare l’orecchino e bracciali borchiati.
Friedkin dirà che Bateson aveva tranquillamente ammesso di avere ucciso Verrill.
Bateson rivelò al regista che il pubblico ministero gli aveva promesso delle attenuanti se avesse confessato di essere il serial killer dei bag murders, ma che non sapeva se accettare l’offerta in quanto si dichiarava innocente rispetto a queste ulteriori accuse.
Per esse, successivamente, Bateson non sarà condannato in quanto non c’erano evidenti prove a suo carico.
L’aura oscura di Bateson non trova pace neanche a processo terminato, in quanto Friedkin rivelerà nel 2012, durante uno dei podcast del programma "It Happened in Hollywood", che Bateson gli aveva confidato di aver smembrato il corpo di Verrill e gettato i pezzi del cadavere in dei sacchi nel fiume, e che questo era l'unico omicidio che si ricordava.
Ma Verrill non era stato smembrato, era stato pugnalato nel suo appartamento. 
Questo errore sul modus operandi di Bateson è stato un momento di confusione del killer, oppure potrebbe essere stato intenzionale da parte del regista? 
C’è chi pensa di sì, perchè anni dopo, nel 1980, Friedkin si ispirò a Bateman quando diresse il film Cruising, con Al Pacino, la storia di un agente di polizia che si infiltra nella comunità gay di New York per catturare un serial killer i cui crimini ricordano molto i bag murders.
Il film fu aspramente criticato dalla comunità LGTB e in particolare dall'attivista Arthur Bell, di cui abbiamo parlato prima, in quanto il film mostra un’immagine stereotipata e negativa delle persone omosessuali.
La maledizione de L'Esorcista sembra aver intaccato anche questa pellicola.
Infatti poco dopo l’uscita del film Ronald K. Crumpley, un ex ufficiale di polizia di New York, entrò in uno dei bar in cui erano state girate delle scene del film armato di mitraglietta e sparò sulla folla uccidendo due uomini, al grido di “Maledetti froci, rovinano sempre tutto!”.
Come dicevo all'inizio le storie più incredibili non si consumano al cinema.
La realtà supera qualunque sceneggiatura.
Anche quando è quella di un film dell'orrore.
In questo caso l'uomo riesce a fare molto più scalpore del diavolo.

 
 

giovedì 24 marzo 2022

Ratti che abbandonano la nave che affonda, la vergognosa storia della Rattenlinien.



Il 24 marzo si ricorda l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ovvero l'uccisione di 335 tra civili e militari italiani, dissidenti politici, ebrei e detenuti comuni, avvenuto in questa data a Roma nel 1944.
Questa sommaria esecuzione fu una rappresaglia per un attentato partigiano avvenuto il giorno prima sempre a Roma, in via Rasella, in cui rimasero uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" della polizia tedesca. 
L'eccidio avvenne appunto alle Fosse Ardeatine, delle cave di pozzolana in via Ardeatina.
Contrariamente a come si è sostenuto per anni nessuna autorità tedesca chiese ai partigiani di consegnarsi per evitare l'uccisione di 10 detenuti italiani per ogni tedesco ucciso.
Lo stesso ufficiale nazista Albert Kesselring, colui che aveva dato il via libera finale a questa decisione, sostenne durante il processo che lo vedeva imputato che la volontà del Reich era quella di agire rapidamente e in segretezza.
Per questo la scelta del luogo non fu casuale e cadde sulle fosse in via Ardeatina, il luogo era perfetto per occultare questa strage, infatti subito dopo l'eccidio i corpi vennero tumulati in modo sbrigativo all'interno della cava.
Il colonnello Herbert Kappler fu incaricato di scegliere i todenskandidaten, i condannati a morte, con l'aiuto degli ufficiali della Gestapo romana e della questura di Roma, nella figura di Pietro Caruso, il quale avrebbe garantito la presenza di 50 detenuti dal carcere di Regina Coeli.
Nel giro di una notte gli ufficiali avevano stilato una lista di nomi.
Tra gli ufficiali nazisti responsabili spicca in particolare la figura di Erich Priebke.
Sarà lui infatti a gestire in loco l'esecuzione, spuntando minuziosamente la lista di nomi.
La descrizione che viene fatta dell'eccidio è la scena di un film dell'orrore.
Condotti alla cava i prigionieri vengono divisi in gruppi di cinque e fucilati un quintetto alla volta.
I corpi non vengono nemmeno rimossi, si fa semplicemente disporre il gruppo successivo.
La situazione divenne a un certo punto caotica.
Alcuni detenuti tentano la fuga, altri si ribellano, le esecuzioni che all'inizio erano precise e letali diventano uno sparare confuso, con i soldati che salgono sui cadaveri per prendere la mira. Secondo alcune testimonianze i soldati vengono fatti ubriacare per poter terminare il lavoro, alcuni si rifiutano di sparare.
Priebke si accorse di aver inserito nella lista 5 detenuti di troppo, li farà giustiziare comunque in quanto avevano visto tutto.
Terminate le esecuzioni vennero fatte esplodere delle cariche all'entrata della cava, così da farla crollare ed occultare per sempre i cadaveri.
Ma già il giorno stesso alcuni salesiani di un monastero lì vicino, attirati dalle esplosioni, riuscirono ad entrare nella cava, trovandosi di fronte cadaveri ammassati l'uno sull'altro.
Le vittime dell'eccidio delle fosse ardeatine non hanno mai ottenuto una reale giustizia.
Albert Kesselring fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine.
La sentenza venne però commutata nel carcere a vita, pochi anni dopo fu scarcerato per motivi di salute e tornò in Germania dove morì nel 1960.
Herbert Kappler venne processato da un tribunale militare italiano nel 1948. I giudici militari decretarono che ciò che era accaduto alle fosse ardeatine non si poteva considerare una rappresaglia legittima per le leggi militari dell'epoca, ma allo stesso tempo ritennero che Kappler non ne fosse consapevole, quindi lo prosciolsero dall'accusa. Lo ritennero però colpevole dell'omicidio di 15 delle 335 vittime che, secondo i giudici, morirono per mano di Kappler. Pertanto l'ufficiale nazista fu condannato all'ergastolo.
Nel 1976, malato di tumore, fu ricoverato nell'ospedale militare del Celio.
Da qui evase il 15 agosto 1977 e trovò rifugio in Germania, dove morì nel 1978.
L'ex-capitano delle SS Erich Priebke venne arrestato nel 1945 ma riuscì ad evadere dal carcere di Rimini.
Nel 1947 visse in Alto Adige, a Vipiteno, con la moglie e i figli e successivamente riuscì a scappare in Argentina.
A scovare Priebke sarà casualmente un giornalista della ABC, Sam Donalson, conduttore del programma Prime Time Live.
Nel 1994 il giornalista americano, su segnalazione della Fondazione Simon Wiesenthal, si recò in Argentina per verificare se effettivamente nel Paese si fossero nascosti criminali nazisti, alcuni testimoni avevano segnalato una specifica città, San Carlos de Bariloche.
Arrivato lì Donalson parlò con gli abitanti della cittadina e un altro fuggitivo tedesco gli disse tranquillamente che in quella ridente località si erano rifugiati diversi ufficiali del Reich, e gli fece il nome di Priebke.
Donalson non conosceva le vicende che lo riguardavano, così si documentò sulla sua storia ed andò a cercarlo.
Il giornalista incontrò  Priebke mentre tornava a casa dal lavoro, l'ex ufficiale nazista non negò la sua vera identità.
Quando il servizio della ABC divenne pubblico l'Italia iniziò le pratiche per l'estradizione, che fu accolta nel 1995.
Dopo un processo lungo e tortuoso Priebke venne condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. 
Considerata l'età avanzata dell'imputato gli vennero concessi gli arresti domiciliari.
Erich Priebke morirà a Roma nell' ottobre del 2013.
La latitanza sudamericana di Priebke, così come quella di altri suoi commilitoni nazisti, è una vergognosa pagina della storia della chiesa cattolica.
Priebke riuscì a fuggire in Argentina grazie all'aiuto di alcuni sacerdoti altoatesini, Johann Corradini, l'allora parroco di Vipiteno, e soprattutto grazie al Vicario generale della diocesi di Bressanone Alois Pompanin, il quale aveva già aiutato a fuggire in Sudamerica Adolf Eichmann.
Da Corradini Priebke ricevette il battesimo cattolico, condizione necessaria per poter ottenere l'aiuto della Chiesa di Roma.
Priebke si recò a Genova e con dei documenti falsi partì per l'Argentina nel 1948.
Come dicevamo Priebke non fu l'unico criminale di guerra a trovare nella Chiesa cattolica un valido aiuto per fuggire.
Esisteva infatti un complesso sistema organizzato che garantì la salvezza a molti criminali nazisti.
Questo sistema si chiamava Rattenlinien.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale
gli ufficiali nazisti sfuggiti al processo di Norimberga crearono a Strasburgo
l'organizzazione O.D.E.SS.A (Organizzazione degli ex-membri delle SS) che aveva il compito non solo di trasferire all'estero i capitali accumulati dal Reich, in particolare in Spagna dove vigeva la dittatura dell'amico Francisco Franco, ma anche di garantire la fuga dall'Europa ai suoi membri.
Da qui la creazione della Rattenlinien per permettere la fuga in Sudamerica di numerosi criminali di guerra nazisti.
Rattenlinien significa "via del ratto".
I nazisti come topi che abbandonano una nave che affonda.
La Rattenlinien fu uno dei progetti purtroppo più riusciti dell'organizzazione, ed è nota anche
come via dei monasteri in quanto questi edifici di proprietà della chiesa cattolica furono il primo nascondiglio per molti criminali nazisti.
Luoghi sacri che prima spesso avevano ospitato le vittime del nazismo ora ne ospitano i carnefici.
Figure di spicco del partito nazista quali Josef Mengele, Adolf Eichmann ed appunto Erik Priebke trovarono rifugio in Sudamerica grazie anche all'intervento di figure autorevoli della chiesa cattolica.
In particolare fu determinante l'intervento del vescovo austriaco Alois Hudal (1885-1963) da sempre simpatizzante del regime e fervente antisemita.
Sarà proprio Hudal a preparare i documenti per Erich Priebke.
Secondo molti testimoni Hudal era molto vicino agli ambienti del Vaticano e amico personale di papa Pio XII.
Karl Bayer, paracadutista dell'esercito tedesco che collaborò col vescovo, sostenne che il Papa aveva fornito il denaro per la creazione dei documenti falsi e per i trasporti oltreoceano.
Nel 1947 il giornale cattolico “Passauer Neue Presse” accusò pubblicamente Hudal di aver organizzato la fuga dei criminali di guerra, e il vescovo dal canto suo non ha mai negato ciò che ha fatto.
Nonostante la sua ammissione di colpa nessuno intervenne; Hudal non rinnegò mai il suo operato, anzi, continuò a sostenere di aver operato nel giusto.  Venne invitato a dimettersi solo nel '52, e si ritirò a vita privata a Grottaferrata.
La motivazione di Hudal, così come quella 
della Santa Sede, di fare fuggire questi criminali di guerra va ricercata
nella necessità del Vaticano (e degli Stati Uniti d'America, spesso partner in crime di queste operazioni) di arginare l'avanzata del comunismo ateo.
Della serie, il nemico del mio nemico è mio amico.
Tra i nomi dei prelati coinvolti in queste operazioni spiccano quelli di Giuseppe Siri, vescovo di Genova, e di monsignor Giovanni Montini, colui che diventerà papa Pio VI. 
Una seconda rotta, detta di San Girolamo, si occupava invece di far fuggire nel Nuovo Mondo gli ustascia croati coinvolti nei crimini nazisti nella ex Jugoslavia.
Dalla Germania i criminali nazisti giungevano a Genova passando attraverso Madrid o Salisburgo, e dal capoluogo ligure potevano imbarcarsi per il Sudamerica.
Un ruolo importante lo giocò anche la collaborazione del presidente argentino Juan Domingo Perón (1985 – 1974) che incentivò i nazisti a trasferirsi nel suo paese, dove avrebbero trovato un nascondiglio sicuro. Ovviamente pagando profumatamente la permanenza, dettaglio che non fu un problema.
La chiesa cattolica ha tentato di usare il vescovo Hudal come capro espiatorio per la Rattenlinien, ma fu lo stesso prelato ad autoaccusarsi, o meglio, a darsi il merito di aver salvato più di 1000 ufficiali nazisti, definiti da lui perseguitati ingiustamente.
E aggiunse con sicurezza di aver svolto il suo compito su richiesta diretta del Vaticano.
Il Vaticano dunque forniva dei documenti provvisori col timbro ufficiale della Pontificia commissione di assistenza, a cui seguivano passaporti e lasciapassare rilasciati dalla Croce Rossa Internazionale.
Proprio lo studio dei documenti rinvenuti negli archivi post bellico della Croce Rossa ha tolto ogni dubbio sul coinvolgimento della Chiesa nella Rattenlinien.
Coinvolgimento che ha impedito alle vittime delle atrocità commesse dai nazisti di avere una rapida e totale giustizia.





(L'immagine di copertina è un fotogramma della scena finale del film del 2002 Amen diretto da Costa-Gavras. In questa scena, SPOILER, si vede uno dei protagonisti, un nazista chiamato semplicemente il Dottore, incamminarsi insieme a un prelato cattolico che lo aiuterà a fuggire in Argentina per sfuggire ai suoi crimini.) 

mercoledì 2 marzo 2022

Musica d(')annata: i diavoli alla corte dello zar.


Tempo fa vi ho parlato di Niccolò Paganini e del suo violino.
Di quella sonata creata in origine da Giuseppe Tartini, Il trillo del diavolo.
Essi sono solo un esempio di come nel corso della storia il diavolo si sia intrufolato e abbia danzato sul pentagramma, a volte per volere degli stessi autori.
Il Satana musicale in quel tempo diventa la ripetizione ossessiva di un tema nelle melodie suonate da più strumenti.
È una difficoltà, una tentazione per il musicista. 
E insieme al diavolo ci sono le streghe e i loro sabba, che troveranno spazio nel panorama musicale ottocentesco. 
Il panorama musicale russo ci regala delle composizioni di rara bellezza.
Un esempio di questo tipo di narrazione musicale è a Modest Petrovich Mussorgsky.
Nel 1866 il musicista russo ispirandosi alle fiabe cupe del suo paese iniziò a scrivere un poema sinfonico dal soggetto demoniaco.
Il brano doveva raccontare di un raduno di streghe che ballano in attesa dell'arrivo del loro Signore Satana.
Pare che l'autore russo si sia ispirato anche alle leggende sulle streghe di Benevento, ascoltate durante un viaggio in Campania.
Nascerà così Una notte sul monte Calvo. 
Chi come me è nato negli anni '80 ricorda questo titolo per uno specifico motivo.
Nel 1940 il brano venne riorchestrato dal direttore anglo-polacco Leopold Stokowski per il film Fantasia della Disney, film che sarà ridistribuito nel 1990 in occasione del suo cinquantesimo anniversario. 
Molti di voi come me hanno sicuramente ancora a casa la VHS originale di questa riedizione.
Nel mio caso è particolarmente consumata proprio sull'episodio del Monte Calvo, il mio preferito.
La rivisitazione disneyana è particolare, rappresenta la lotta tra il bene e il male che da sempre contraddistingue la vita dell'uomo.
Proviamo a ricordare insieme questo capolavoro dell'animazione.
A mezzanotte un demone nero con grandi ali da pipistrello e occhi gialli fiammeggianti si desta. Si tratta di Chernabog, personaggio disneyano ispirato al demone russo dell'oscurità e al classico diavolo cristiano. Egli richiama gli spiriti maligni dalle loro tombe, invita le streghe a ballare al suo cospetto. 
Gli spiriti danzano e volano finché si ode il suono di una campana.
A questo punto si interrompe il brano di Mussorgsky e inizia la delicata Ave Maria di Schubert.
Chernabog infastidito richiama i suoi spiriti, si addormenta nuovamente mentre lentamente albeggia. Si ode in lontananza un coro cantare l'Ave Maria mentre si intravede una processione di fedeli che si incammina attraverso la foresta verso una cattedrale.
La notte lascia spazio al giorno, la tenebra lascia spazio alla luce, il male è di nuovo sconfitto.
Se nel cartone non si sa se e quando Chernabog tornerà a fare danzare le sue streghe certamente sappiamo che nella musica il diavolo può sempre ritornare, ed è incalzante, ossessivo e ripetitivo. 
D'altronde, si dice che perseverare sia diabolico.
Il diavolo in musica è anche un tentatore subdolo. 
Ispirazione, ripetizione di un tema. 
Il diavolo non smette di riscrivere se stesso in più forme, letteratura e musica. 
Lucifero si reinventa e oltre a essere un tentatore diventa un giullare che gli uomini prendono in giro.
Così viene descritto da autori e compositori.
Anche Pëtr Il'ič Čajkovskij si cimenta con un'operetta dal sapore comico in cui troviamo un diavolo tentatore.
Čajkovskij che come Mussorgsky aveva trovato spazio nel film Disney Fantasia, dove viene utilizzata la sua opera celeberrima Lo schiaccianoci.
Nell 1887 viene rappresentata per la prima volta l'opera Gli stivaletti, ispirata da un'altra opera dello stesso Čajkovskij Il fabbro Vakula.
L'opera è ambientata in Ucraina, nel XVIII secolo.
La storia narra di un uomo, Vakula il fabbro, innamorato della bellissima Oksana.
Purtroppo questo amore è osteggiato in primis da Solocha, madre di Vakula, che è anche una strega. La donna in più riprese evoca un diavolo e amoreggia con lui chiedendogli di impedire al figlio di coronare il suo sogno d'amore con Oksana.
La ragazza, molto capricciosa, gli ha promesso di sposarlo solo se lui le porterà in dono degli stivaletti nuovi, e Vakula purtroppo fallisce nell'intento, e finge di uccidersi. 
Sulle rive del fiume il diavolo propone a Vakula di cedere la sua anima per quegli stivaletti, ma con uno stratagemma Vakula salta in groppa al diavolo, e si fa portare a San Pietroburgo dove chiederà le scarpe addirittura alla zarina, vedendosele però negare.
Tornato a casa Oksana, felice che Vakula sia vivo, accetta di sposarlo anche senza il dono degli stivaletti.
Čajkovskij ci mostra un diavolo che fa il gradasso ma che è facile da imbrogliare, tanto da diventare un misero destriero.
Succede nelle fiabe e nelle leggende europee, succede nella musica.
Un altro autore russo ne è un ottimo esempio.
Igor' Fëdorovič Stravinskij nel 1918 scrive Histoire du soldat, storia da leggere, recitare e danzare in 2 parti, un'opera da camera in cui unisce il diavolo tentatore faustiano con il diavolo gabbato, tragicomico.
Anche Stravinskij si ispira alle fiabe russe 
in particolare le fiabe popolari russe raccontate da Aleksandr Nikolaevič Afanas'ev, pubblicate fra il 1855 e il 1864.
Stravinskij riprese due racconti, Il soldato disertore e il diavolo e Un soldato libera la principessa, per scrivere questa sua versione del Faust, il noto dramma in versi di Johann Wolfgang von Goethe scritto nel 1808. 
Anche le musiche napoletane del 1800 trovano spazio, riadattate, in questa opera. Stravinskij infatti amava moltissimo l'Italia, tanto da viverci saltuariamente.
Nell'opera del compositore russo vediamo
Il diavolo tentare Joseph, un povero soldato che suona il violino. 
Il violino, ricordate, quello strumento così maledetto e che Lucifero sa suonare divinamente secondo il Tartini.
Il diavolo chiede a Joseph di vendergli il violino in cambio di un libro magico in grado di garantire numerose ricchezze, dato che racconta di fatti non ancora avvenuti, cosa che chi lo possiede può usare a suo vantaggio.
Se Joseph rimarrà tre giorni con lui per insegnargli a suonare, cedendogli lo strumento, il diavolo gli darà il libro.
Il soldato accetta il patto, ma scoprirà di essere stato raggirato.
Sono infatti passati tre anni e Joseph, seppur ricco, scopre di aver perduto ogni amore della sua vita.
Il diavolo comparirà da allora molte volte nella vita di Joseph per tentarlo e truffarlo, fino alla sfida finale dove il soldato esorcizza il diavolo che si era rifugiato nel corpo di una principessa.
Suonando il violino Joseph scaccia il diavolo che lo maledice. Se Joseph lascerà il regno della principessa lui lo porterà all'inferno.
Dopo anni il soldato, credendosi al sicuro, decide di tornare a casa, ma ecco che appena varca il confine del regno il diavolo lo cattura e lo porta via per sempre, suonando il suo violino.
Stravinskij ci mostra un diavolo molto vicino al Satana biblico.
È un diavolo che viene ingannato ma è egli stesso ingannatore, che sa attendere con pazienza l'uomo al varco della sua arroganza.
Il monito finale dell'opera ci porta a comprendere che la felicità non si può accumulare con ingordigia, ma va vissuta. 
È interessante notare che l'anno in cui Stravinskij porta in scena L'Histoire du soldat è il 1918, anno in cui l'Europa era ancora dilaniata non solo dagli strascichi di conflitto mondiale, ma anche dalle morti causate dall'epidemia di spagnola.
Poi ci dicono che la storia è ciclica, e non ci si crede.