Tra il 31 ottobre e il 2 novembre celebriamo il ricordo dei nostri cari estinti, e da secoli lo facciamo nel modo che potremmo considerare più congeniale a noi italiani: cucinando.
Apparecchiare la tavola e cucinare per i defunti è una tradizione diffusa in tutta Italia.
In molte regioni si lascia la tavola apparecchiata, in modo tale che i morti possano sedervisi durante la notte e consumare un frugale pasto.
I cibi tipici di queste tavole imbandite sono le castagne, i legumi, le noci e le fave, i fichi, e ovviamente i pani dei morti, ogni regione ha una sua peculiare ricetta.
Vi porto a fare un viaggio, che percorrerà tutta la nostra Penisola.
Pronti, tutti a bordo!
Attraversiamo il mare per conoscere le tradizioni delle nostre bellissime isole.
In Sicilia è radicata la credenza per cui la notte tra il 1° e il 2 novembre gli spiriti dei morti tornino nel mondo dei vivi, per recarsi di casa in casa a lasciare un regalo per i bambini.
I racconti parlano di vere e proprie processioni. Secondo Giuseppe Pitrè, storico ottocentesco esperto di tradizioni siciliane, esiste una vera e propria gerarchia in queste pellegrinaggi: nel suo Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano (1889) ci racconta che in prima fila troviamo “...vestite di bianco le anime dei morti in grazia di Dio, le seconde schiere son vestite di nero e sonle anime dei dannati, le ultime sono vestite di rosso e sono le anime degli uccisi. Ciascuno di questi morti ha un braciere sul capo.”
Questa luce, che guida le anime, ricorda molto le leggende di un’altra isola molto lontana, l’Irlanda e il suo Jack O’Lantern.
I morti che tornano a visitare le case delle loro famiglie quindi non sono solo spiriti benevoli, Pitrè mette in guardia anche da quelle anime tormentate che potrebbero addirittura cavare gli occhi ai bambini più curiosi, intenti a spiare il loro passaggio.
E’ tradizione riunirsi e recitare insieme il rosario in onore dei morti, e i bambini sono coinvolti nella realizzazione di una carta fiore tutta intagliata usata per coprire i vassoi delle pietanze.
Per i morti si lasciano infatti cibi e bevande.
Nel messinese i bambini lasciano un bicchiere d’acqua per dissetare le anime, che soddisfatte lasceranno sicuramente un regalino per loro.
In molte città siciliane si crea u pupu, un pupazzo di zucchero che ha le sembianze dei Pupi del teatro tradizionale, e scarpette di zucchero da regalare ai più piccini.
I bambini onorano i defunti preparando cestini con dei mandarini e della frutta secca, in modo che gli spiriti vengano da loro a raccontare delle storie, i loro doni dall'aldilà.
La mattina del 2 novembre in molte famiglie si fa colazione con la muffoletta, ovvero un panino caldo salato con le acciughe, e dopo ci si reca al cimitero per un saluto ai defunti.
Si portano i fiori e i lumini sulle tombe dei propri defunti e poi si torna a casa per mangiare.
Si assaggia il vino nuovo e alla fine del pasto si mangiano le castagne arrostite e le paste di mandorla, dei biscotti tipici chiamati bersaglieri o toto.
A volte ci si ferma a mangiare proprio al cimitero, per rendere anche le anime dei familiari partecipi del banchetto.
Un altro dolce tipico della Sicilia che si mangia nel periodo delle festività dei morti è la pasta reale o frutta martorana, sono dei dolci che hanno la forma esatta della frutta.
Si prepara un pane particolare, detto cùcchia ad Augusta e panuzzeddo re morti a Siracusa giusto per fare qualche nome, che viene preparato il 2 novembre e regalato ai poveri, in cambio di preghiere per le anime dei cari defunti.
I bambini si vestono con vecchie lenzuola, portano con sé lanterne accese e vagano di casa in casa, nella speranza di racimolare dolciumi.
Tradizione che ci ricorda il più noto “trick or treat”, ma che è molto più antica.
Salpiamo ora verso le coste della Sardegna.
Anche qui è usanza i primi di novembre celebrare il ritorno dei morti.
Nelle tradizioni sarde vi è un sacro timore molto radicato che pervade ogni celebrazione.
Pane appena sfornato, prosciutto, formaggio, porzioni di arrosto e brocche di acqua fresca sono lasciate sugli usci, in modo che i morti possano rifocillarsi.
La tavola viene imbandita anche tenendo conto della presenza delle anime dei propri cari.
Si cucinano i maccheroni e gli gnocchi, tirati a mano a casa, e si riempie un piatto anche per chi arriverà durante la notte.
E’ un modo per esorcizzare la paura di questa visita dall’aldilà.
Perché l’umore degli spiriti è sempre incerto.
Infatti si consiglia di non lasciare utensili appuntiti sulla tavola, perché uno spirito potrebbe usarlo per ferire un vivente.
Il 2 novembre c’era la tradizione, ormai desueta, di non fare le pulizie domestiche, perché se uno spirito passasse di là in quel momento lo vedrebbe come un tentativo di mandarlo via in modo maleducato.
Scrive Ofelia Pinna nel suo Riti funebri in Sardegna (1921): “Appena la campana comincia a suonare a morto si sospendono le faccende domestiche. ...nessuno deve pettinarsi, né spazzare la casa. Perché i morti vanno a visitare i parenti e camminano invisibili per le stanze. Con le immondizie si butterebbero le povere anime.”
Il 2 novembre qualunque attività che può disturbare il passaggio dal mondo dei morti a quello dei vivi andava interrotta.
Anche zappare, bruciare delle sterpaglie può interferire con il passaggio delle anime.
La pena era la morte di un famigliare entro l’anno.
Anche in Sardegna i bimbi si presentano di casa in casa e ricevono un dolcetto come pegno per le loro preghiere, la tradizione del “is animasa” nel cagliaritano o del "su mortu mortu" in molte altre zone, ovvero l’obolo per le anime.
Questa offerta è detta anche sa paniscedda ad Oristano, i bambini ricevono castagne, noci, fichi, oppure dolcetti casalinghi.
Gli adolescenti invece intonano canzoncine che minacciano dispetti, come quella che parla di Sant’Anna pronta a mozzare le mani ai più tirchi, una sorta di antico trick or treat sardo.
In Sardegna si cucina un dolce che accompagna la giornata che viene chiamato s'ossu e mottu (appunto osso di morto) fatto con zenzero e cannella.
Il fuoco è un elemento di Samhain anche in sardegna.
Le donne preparano su tumulo, un braciere con fuoco profumato con incenso o rosmarino, e si recano con esso sulle tombe dei defunti, e lì recitano preghiere in loro memoria.
Scoprendo le tradizioni delle nostre isole diventa ancora più evidente quanto le tradizioni europee di Samhain siano tutte legate da un filo invisibile, e che si ripetano nonostante le loro peculiarità.
E si rafforza il concetto per cui queste celebrazioni ci appartengono, di quanto esse siano nostre, europee e soprattutto italiane.
Lasciamo le isole, attracchiamo, risaliamo lo stivale per scoprire le tradizioni di Samhain delle regioni del Sud Italia.
Nelle terre di Puglia i morti tornano tra i vivi tra il primo e il 2 novembre vestiti di bianco e facendosi strada con la luce di una lanterna, passeggiando pregano per le strade e le campagne.
Queste anime qualche volta entrano nelle case, per cui bisogna preparare per loro una tavola imbandita con pane, palme benedette, un bicchiere di acqua santa e un lume.
Si cucinano granturco e grano conditi col vino cotto.
I defunti lasciano delle calze, le cavezzette di murte, per i bambini, colme di dolcetti o di carbone, a seconda di come si sono comportati durante l’anno. Una tradizione che ricorda quella dell’Epifania, ed è più antica.
Mentre la tradizione della Befana che giunge di notte a riempire le calze sarà introdotta in tutta Italia solo durante il fascismo, in Puglia era già un’usanza popolare preparare.
E’ tradizione chiedere preghiere per i defunti in cambio di offerte di cibo, ma non solo, infatti era usanza cantare l’anima dei morti, ovvero ci si recava di casa in casa offrendo canzoni per allietare le serate delle famiglie più abbienti, in cambio di una piccola mancia.
Una pietanza tipica è il pane de li murte, un pane cotto appositamente per essere donato specialmente ai più poveri, insieme a castagne, carrube, melograni.
Chi può permetterselo infatti in quei giorni opera una piccola beneficenza in onore dei propri cari defunti.
Una tradizione pugliese che richiama molto la festa di Halloween la troviamo nel foggiano, dove è uso intagliare delle piccole zucche che vengono chiamate coccie priatorje, le teste del Purgatorio. Queste lanterne servono a rischiarare la via dei defunti in processione.
Arriviamo in Campania, dove si compra il pane dei morti alle bancarelle, una tradizione molto antica che segna il vero inizio dell'inverno.
Nell’avellinese si credeva che la notte del 2 novembre i morti tornassero sulla terra per partecipare a una messa, dove il celebrante era anch’esso un defunto.
Le famiglie lasciavano sul davanzale delle finestre una bacinella d’acqua, si credeva fosse possibile vedere riflessa l’immagine della processione delle anime.
Anche in Campania è tradizione recarsi di casa in casa per chiedere soldi in cambio di preghiere per le anime del Purgatorio; ai poveri vengono donati legumi, fichi e noci, con la promessa che reciteranno il rosario in suffragio delle anime.
Negli anni passati si cucinava anche una particolare pietanza, il sanguinaccio dolce, preparato con cioccolato...e sangue di maiale!
Anche in Basilicata si lasciano cibo ed acqua sui davanzali delle finestre come dono per i defunti che tornano a visitare il mondo dei vivi.
La processione di anime vedeva passare prima i bambini, poi i giovani, gli adulti, i vecchi e infine gli storpi.
L’ultimo morto dell’anno guidava la processione suonando un campanello.
Chi era deceduto di morte violenta o era morto fuori dalla grazie ecclesiastica, sepolti fuori dalle mura urbane, seguiva il corteo con un senso di smarrimento, tenendo il suono del campanello come indicazione su dove andare.
In Basilicata si può vedere questa processione di anime riflessa nell’acqua di un catino, e i defunti lucani ci tengono a celebrare una loro messa, alla quale i vivi non possono partecipare, pena la morte.
Sono dispettosi i morti della Basilicata. Bloccano le strade mettendosi di traverso sulla via, sotto forma di cavalli bianchi, oppure si nascondono sotto ai letti dove emettono rumori spaventosi.
Il 2 novembre i giovani accendono falò nei pressi dei cimiteri e giocano, per esorcizzare la morte.
In Calabria usava mangiare vicino ai cimiteri o addirittura vicino alle tombe, come a voler coinvolgere i propri cari in questi banchetti.
Nei pressi dei tumuli si accendevano fuochi per allietare la venuta dei defunti.
Anche qui è uso lasciare la tavola colma di cibo per gli spiriti.
Si beve vino novello e si mangiano salumi in onore dei morti.
Le processioni delle anime hanno un loro ordine anche in terra calabrese, ed esiste una differenza tra le anime, ci sono infatti quelle buone che procedono con rigore e silenzio, invece quelle cattive, ovvero dei morti ammazzati o deceduti fuori dai sacramenti della religione, passeggiano inquiete, facendo rumore, spaventando i vivi.
I forestieri venivano accolti in casa e rifocillati, infatti c’era la possibilità che uno di essi fosse in realtà uno spirito venuto a ricongiungersi coi propri cari anche se solo per un giorno.
La mancanza di ospitalità poteva essere severamente punita dalle anime di passaggio.
Tante regioni, tante tradizioni che si rincorrono e si ritrovano nella loro similarità.
Le radici di Samhain anche qui sono profonde e si allargano, abbracciando la punta tutta del nostro stivale.
Ci rimettiamo in marcia, e camminando camminando arriviamo nel Centro Italia.
Re delle tavole di queste regioni è senza dubbio il castagnaccio, preparato in modo diverso a seconda delle zone. La castagna dopotutto è un frutto autunnale che possiede una ricca simbologia legata al mondo dei morti.
In Emilia Romagna nei giorni dei morti avvenivano i traslochi rurali a causa della scadenza dei contratti agricoli, per questo le giornate erano vissute con molta solennità.
I riti di accoglienza dei defunti prevedevano il lasciare cibi e bevande per gli spiriti affamati. Si sparecchiava degli avanzi della cena e si apparecchiava nuovamente la tavola. Il fuoco domestico doveva essere lasciato acceso per permettere agli spiriti di riscaldarsi.
Di buon mattino il 2 novembre si usciva di casa, per lasciare che gli spiriti potessero entrare, mangiare e dormire in quelli che furono i loro letti.
Piatti tipici di questi giorni sono le fave dei morti, la tibùia che è una torta di sfoglia farcita di formaggio ed è di origine ebraica, inoltre si preparava il sanguinaccio, dolce di cioccolato e sangue di maiale.
Le castagne qui vengono bollite con i semi di finocchio, dando vita a un piatto chiamato
plon.
Le pere bollite insieme alle castagne andavano a formare un altro piatto, le balitt e per bianchètt.
Nel ferrarese si prepara il cuscino dei morti, cussin d’i mort, si tratta di una piccola scatola colma di terra in cui si piantavano dei semi. Questo piccolo sememzaio andava preparato alcune settimane prima dei giorni dei morti, così da dare al tempo alle piante di germogliare e diventare un morbido cuscino da portare sulle tombe per gli spiriti.
Anche in Emilia Romagna i bambini si recano di casa in casa per le questue, promettono preghiere per i defunti in cambio di dolcetti e frutta secca.
Per le famiglie più povere era l’occasione per sfamare i propri figli, questa usanza era infatti detta anche a la fasulera, proprio perché spesso i questuanti erano ricompensati con una minestra di fagioli.
Intagliare le zucche è tradizione antica in molti comuni emiliani e romagnoli, queste lanterne venivano poi lasciate sulle finestre o infilzate su un bastone, da portare in processione.
Veniamo all’Umbria, dove si cucinano dei dolci alle mandorle che vengono chiamati “fave dei morti” per la loro forma.
Anche qui i morti tornano a visitare la casa natìa, e quindi bisogna accoglierli nel modo più appropriato.
Si lasciano dolci e bevande sul tavolo, e si accendono i focolari per rischiarare la via e riscaldare le anime in visita.
Nel Lazio si mantiene il legame con i propri cari estinti consumando dei pasti frugali accanto alle loro tombe, o nelle vicinanze dei cimiteri.
Nella nostra capitale era facile imbattersi in rappresentazioni piuttosto macabre all’ingresso dei cimiteri. Drappi neri, quadri che ritraevano le anime dannate bruciare tra le fiamme dell’inferno, a volte venivano esposti veri cadaveri.
Anche nel Lazio la questua era un momento importante di queste giornate, dove i bambini offrivano le loro preghiere in cambio di qualcosa da mangiare.
Anche nelle Marche si cercava di instillare un sacro timore della morte esponendo nei cimiteri ossa umane, una sorta di memento mori molto vivido.
Si cucinavano minestroni di fave da elargire alle famiglie di questuanti, oppure si abbrustolivano le castagne zuccherate o bagnate dal liquore.
Le campane marchigiane risuonavano più volte al giorno.
In Toscana si credeva che gli spiriti in visita nella notte di Samhain potessero favorire la prosperità dei raccolti dell'anno successivo, per questo si preparavano dolciumi da donare loro sulle tavole imbandite e si imbastivano morbidi giacigli per far riposare i defunti in visita.
Infatti in Toscana i morti tornavano sulla terra facendo lunghe processioni dette andade.
In alcuni comuni si organizzano delle aste di beneficenza, dove la popolazione mette in vendita vino, pollame, torte, e il ricavato viene consegnato al parroco che reciterà delle preghiere in suffragio delle anime del Purgatorio.
Era un periodo in cui ci si dedicava anche alla beneficenza, spesso per i bambini orfani, che si recavano di casa in casa a chiedere qualche offerta. Sui loro vestiti veniva cucita una larga tasca per invogliare la gente a donare.
Giungiamo infine in Abruzzo e Molise.
Nel territorio abruzzese le famiglie abbienti preparavano un lauto banchetto per i morti. Ciò che avanzava la mattina successiva era donato ai poveri, ovviamente in cambio di preghiere per i cari defunti.
E’ importante lasciare sempre i lumi e i fuochi accesi, essi sono guida e ristoro per le anime.
Guai a spegnere le lanterne, ci si troverebbe a diventare morto tra i morti.
E’ possibile spiare i morti, con qualche accortezza. Mettendo un setaccio davanti agli occhi si può vedere la processione delle anime, avvolte in candide lenzuola.
Nel pescarese esiste la tradizione delle anime de le morte, dove si svuotano le zucche e le si usano come cestini per la questua dei bambini.
In Molise si preparano calzette piene di dolciumi per i bambini, si diceva loro che erano doni dei morti.
Spesso si lascia sul davanzale una scarpa, segno che i morti possono accomodarsi, rifocillarsi e possono poi riprendere il cammino comodamente.
Il centro Italia presenta dunque tante tradizioni simili, che abbiamo trovato anche nel Sud Italia.
Possiamo affermare con sempre più certezza che esiste una radice comune italica di questa antica festa.
Giungiamo infine nel Nord Italia, dove le nostre montagne racchiudono meravigliose tradizioni.
In Friuli Venezia Giulia i morti tornano in visita accompagnati dai rintocchi delle campane, e sono distinguibili dai vivi perché sulle loro braccia brucia una flebile fiammella, oppure stringono tra le mani una piccola candela, la candeleta.
Guai a disturbare la loro processione.
Una leggenda friulana narra che gli spiriti vaghino sulla terra, e chi dovesse incontrarne uno in una chiesa durante la notte morirebbe al sorgere del sole.
Pare che chi è nato nei primi giorni di novembre riesca a percepire il lamento dei morti.
Nelle case si apparecchiano le tavole con castagne lessate, del buon vino novello, pannocchie di granturco, pane appena sfornato, polenta.
Si intagliano zucche dalle fattezze di teschio e vi si mette un lumino all'interno, esse vengono lasciate sulle finestre per guidare il cammino dei morti
Qui l'usanza di recarsi di casa in casa a offrire preghiere per i morti in cambio di cibo si ripete anche a Natale e Carnevale.
Ai questuanti, soprattutto donne, veniva dato il kròstin, il pane dei morti.
Arriviamo in Liguria, dove si fanno grandi pulizie per accogliere i morti in visita.
I morti lasciano il cimitero in processione, due a due, vestiti con cappa e cappuccio nero, e si recano nelle loro case d'origine.
Qui trovano un lauto banchetto ad accoglierli: fagioli con le erbette, zuppe di cipolla, ceci, fave secche e dolci di mandorle.
Le chiese in questi giorni aprono le cripte al pubblico, e mettono in bella mostra scheletri e teschi.
Ai bambini questuanti si regalano castagne bollite e pane dolce.
In Veneto si intagliano le zucche per trasformarle in lanterne da lasciare alle finestre, in modo che gli spiriti usciti dalle tombe possano ritrovare la via del cimitero.
Anche qui i morti infatti ritornano a casa e per loro si preparano molte leccornie come focacce rustiche, il pane dei morti,la polenta con i fagioli e un bicchiere di buon vino.
Si abbrustoliscono i semi di zucca sul focolare, e si lasciano le bucce delle fave sotto al tavolo, un particolare omaggio agli spiriti.
Un dolce tipico sono le ossa dei morti, pasticcini di zucchero e mandorle tritate.
La sera del 2 novembre non si esce, ci si ritrova in casa a mangiare le caldarroste.
Molto suggestive sono le tradizioni della laguna veneta.
A Venezia guai a uscire la notte, o terribili braccia scheletriche vi porteranno via con loro.
Nei comuni come Caorle, Burano e Chioggia i pescatori non si avventuravano in mare, i morti annegati avrebbero certamente cercato di salire sulle loro barche, facendole rovesciare.
Nelle zone montane invece si deve fare attenzione a un cane nero da caccia, la cazza beatric, mandato dal diavolo per cibarsi degli esseri umani che incautamente si avventuravano fuori casa durante la notte.
I parroci iniziavano già alcuni giorni prima del primo novembre a raccimolare offerte per la recita del rosario per i defunti.
E anche in Veneto i bambini andavano di casa in casa chiedendo cibo in cambio di preghiere.
In Valle D’Aosta e Piemonte la festa dei morti è molto vicina nelle tradizioni a quello che era il capodanno celtico.
Una delle motivazioni era che in questi giorni scadevano i contratti agricoli, e per ogni famiglia quindi si trattava di un possibile nuovo inizio.
Anche qui si apparecchia una tavola per i defunti con i loro piatti preferiti affinchè possano ristorarsi, dopo cena si va alla messa al cimitero, lasciando gli spiriti liberi di mangiare in tranquillità e di predire il futuro dei loro cari, che ahimè non sono lì ad ascoltare.
Guai mettersi a spiare i loro discorsi, pena dispetti e addirittura la morte.
Dato che i morti vagano per le strade in quelle notti si deve restare in casa per non disturbarli. Infatti in molte zone ritornano tra i vivi gli spiriti dei morti trucidati, i quali possono essere molto pericolosi in quanto ancora infuriati per la loro fine cruenta.
In questi giorni si donano pietanze alle famiglie più povere, sempre chiedendo in cambio preghiere per i propri cari
In molti comuni durante la notte passa per le strade il campanaio gridando “Svegliatevi genti, e pregate per le anime dei trapassati!”.
Si accendono dei falò in alcune zone e i giovani vi si radunano per mangiare insieme le castagne abbrustolite.
Dolcetto o scherzetto anche in queste regioni, infatti i bambini vanno di casa in casa a chiedere qualche prelibatezza in cambio delle loro preghiere.
In Piemonte l’arrivo dei morti è circondato da un timore reverenziale, stimolato anche da leggende truculente, che viene esorcizzato intagliando delle zucche con visi mostruosi.
In Lombardia i riti di accoglienza prevedono nuovamente il lasciare una tavola imbandita per i morti.
Un alimento particolare sono i ceci, è tradizione cucinarli in questi giorni, una ricetta è la supar coi sisar, ovvero la zuppa di ceci e cotiche.
Nelle zone alpine è raccomandato di lasciare sempre dell’acqua per i defunti.
Tradizione peculiare è quella della zucca di vino.
La zucca viene svuotata e riempita di vino e la si lascia la sera vicino al focolare. Al mattino la zucca dovrebbe essere vuota, in quanto i defunti hanno bevuto a sazietà.
Nelle ore della cena si deve restare in casa, per poi uscire a mezzanotte per la messa.
La mattina le massaie si alzano prima dell’alba, in modo da lasciare per qualche ora il loro letto per gli spiriti stanchi.
E’ bene lasciare sempre il focolare acceso in questi giorni, per riscaldare i defunti in visita.
Un piatto tipico lombardo è la supa dei morti, un piatto composto da costine di maiaie, fagioli, cotenna e burro, tutto accompagnato da crostini di pane.
In alcune zone si prepara il salame cotto nella verza.
Non mancano i dolcetti, come le delizie dei santi, delisie di sancc, un dolce fatto con purea di castagne, cioccolato, vaniglia e zucchero, oppure i pa’ di mòrc, pane dei morti, preparato con mandorle, scorzette di limone e rosolio.
La città di Milano ha una propria ricetta del pane dei morti, il dolce tipico della festa, si usano infatti mandorle, arance candite, pinoli e cedro.
Nel mantovano il pane dei morti viene impastato a forma di teschietti ed è chiamato òs di mort, osso dei morti.
Anche in Lombardia è tradizione fare la questua per richiedere le preghiere in suffragio dei morti. Per i poveri si preparavano pentoloni di minestra d’orzo e pane, da elargire a chi recitava il rosario.
Il nostro viaggio si conclude arrivando nel mio Trentino.
Qui è tradizione visitare le tombe dei defunti al cimitero, si portano loro fiori e candele, e una volta tornati a casa si mangiano le castagne accompagnate con il primo vino rosso dell’anno, assicurandosi di lasciare qualcosa per nostri antenati defunti.
In Trentino si attende il ritorno dei morti con molto rispetto.
La sera del primo novembre le campane risuonano fino a mezzanotte, con rintocchi intervallati, per destare gli spiriti e accompagnarli in processione.
Far compagnia ai morti, così si dice. E i campanari si danno il turno, bevendo vino o un po' di carampampoli, una bevanda zuccherata di caffè e liquore, per scaldarsi.
Nel comune di Roncegno questa usanza è detta delle cùbie, le campane venivano fatte suonare almeno un'ora per sonàr fora i morti, ovvero svegliare con il suono delle campane le anime dei defunti. Ringrazio la mia amica Marta per avermi raccontato di questa tradizione.
I defunti raggiungono le case dei loro familiari, e qui possono trovare la tavola imbandita con zuppa d'orzo, rape, patate.
In alcuni comuni in provincia di Trento si creano dei lumini utilizzando i gusci delle lumache, ed essi vengono poi fissati con la calce sui muretti, e accesi per rischiarare la via dei fedeli di ritorno dalla messa.
Gli spiriti di persone morte per omicidio o in modo cruento sono solite tornare nel luogo in cui è avvenuto il loro decesso per apparire ad ignari viandanti.
In molte vallate è uso lasciare un catino di acqua a disposizione degli spiriti, e un giaciglio pulito e comodo in caso volessero dormire.
In Alto Adige si cucina una farinata, detta mosa, cosparsa di semi di papavero e miele.
Il miele con la sua dolcezza dovrebbe ricordare si defunti i bei momenti vissuti in famiglia.
La mia regione è ricca di leggende sulle streghe, un giorno ve ne parlerò, e in questa notte di Samhain esse si riuniscono in luoghi segreti.
Nei piccoli cimiteri delle vallate i morti si ritrovano dopo il pasto consumato a casa dei familiari per cantare insieme canzoni della messa o canti religiosi.
Dopo la messa per i defunti al cimitero i bimbi potevano recarsi dai vicini di casa per racimolare qualcosa, di solito frutti di stagione, in cambio della recita del rosario in suffragio dei morti.
Una pietanza tipica di questo momento è il chicciol, un pane infornato appositamente per essere usato durante le questue.
In Alto Adige invece questo pane è detto pitschele ed è spesso fatto con farina di segale. Mia nonna, che era di Salorno, lo chiamava infatti così.
Le tradizioni di queste regioni, terre di passaggio e di confine tra il resto dell'Italia e l'Europa, come abbiamo visto sono spesso simili tra loro e richiamano quelle di altri Paesi.
È il filo rosso di cui ho parlato in molti miei articoli, questa vicinanza di usanze che rende Samhain una festa europea e nostrana, con tutte le sue bellissime e varie sfaccettature.
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