venerdì 19 marzo 2021

Giuseppe, la rivoluzionaria normalità di un padre.

Vi ho mostrato tempo fa una serie di icone che raffigurano Maria intenta a studiara la Torah mentre Giuseppe si occupa di Gesù ancora neonato.
Sono due miniature, la prima tratta da un Libro d’Ore composto a Besançon(1450), la seconda si trova all'interno della Bible 
historiale (1403 o 1404).

Questa visione iconografica di Maria che si dedica allo studio va di pari passo con le raffigurazioni di Giuseppe che non è intento soltanto ad ammirare con devozione il fanciullo e la moglie, ma ricopre un ruolo attivo come padre di Gesù.
San Giuseppe, in ebraico Yosef, è lo sposo di Maria ed il padre putativo di Gesù. 
Secondo i Vangeli Giuseppe era un esperto artigiano e carpentiere. Ci viene suggerito dal fatto che Gesù fosse un falegname, i ragazzi ebrei dell'epoca infatti spesso continuavano il lavoro dei padri.
Dai Vangeli sappiamo che era discendente di re Davide e che abitava nella cittadina di Nazareth.
Nei vangeli apocrifi, Giacomo nello specifico, troviamo altre informazioni, ad esempio scopriamo che Giuseppe era originario di Betlemme e che prima del matrimonio con Maria era già stato sposato con un’altra donna che gli diede sei figli maschi e due femmine.
Questa possibilità è accettata dalla chiesa ortodossa ma non da quella cattolica.
La sua storia è ben nota.
Giuseppe è un uomo di una certa età, figlio del suo tempo e della sua cultura, patriarcale e moralmente rigida.
La gravidanza di Maria lo coglie in questo contesto.
Sua moglie è incinta e lui sa benissimo di non essere il padre di quel bambino.
Per la legge del suo popolo avrebbe potuto ripudiare Maria, ma Giuseppe sa che questo avrebbe esposto la ragazza alla vergogna e alla lapidazione.
Giuseppe è un uomo del suo tempo ma è un uomo buono, giusto.
Nel Vangelo di Matteo ci viene detto che Giuseppe decide per intanto di allontanare in segreto Maria dalla sua casa, per decidere come comportarsi.
Secondo il racconto evangelico un angelo gli apparve in sogno e gli disse di non temere di accogliere nuovamente Maria e di crescere quel bambino, poiché egli è il figlio di Dio. 
Giuseppe accetta dunque di farsi carico di quella responsabilità, si ricongiunge con Maria e crescerà Gesù come suo figlio.
Il racconto biblico non ci dice molto di Giuseppe come padre in modo esplicito, sarà l'arte a mostrarlo come un padre che è dedito alla cura del figlio, parimenti alla madre.
La normalità di una famiglia, dove i genitori si avvicendano nella gestione della prole. 
A cominciare dal XIII secolo nell'arte Giuseppe viene raffigurato come parte attiva della natività. 
In un affresco, ormai distrutto, della cattedrale di Chartres Maria dorme vicino al Bambino mentre Giuseppe lo veste.
Nell’arte olandese e tedesca del XIV e XV secolo si vede Giuseppe raffigurato mentre si prende cura di Gesù, gli prepara i vestiti, cucina per lui e Maria, accende il fuoco per scaldarli. Nell’altare boemo di Hohenfurth ad esempio Giuseppe è intento a preparare il bagnetto a Gesù.
Dipinta sull'anta di una pala d'altare portatile possiamo ammirare la Natività di Mayer van den Berg in cui Giuseppe taglia i propri vestiti per creare delle lenzuola per il Bambino.

Nell'opera di Lucio Massari conservata agli Uffizi, La sacra famiglia che stende il bucato (1620), vediamo addirittura Giuseppe intento a stendere i panni insieme a Maria e Gesù.
Una famiglia normale, che si dedica alle faccende domestiche.
Giuseppe è una guida per il figlio, questo è il suo ruolo di padre terreno, voluto da lui stesso e non imposto dal consiglio divino di un angelo.
In una xilografia tedesca del 1470 vediamo Giuseppe che tiene Gesù per mano mentre tornano dall'Egitto.
Padre e figlio che camminano insieme è un'immagine simbolica che ritroveremo spesso, ad nell'opera di
Melchiorre d'Enrico, pittore del XVI secolo.
Così come nel quadro di Cornelis van Poelenburgh San Giuseppe e Gesù bambino (XVII secolo), esposto agli Uffizi, anche qui i due camminano mano nella mano.
Giuseppe che come ogni padre dell'epoca istruisce il figlio sul suo mestiere, per tramandarlo.
In una pala d'altare di un seguace di Hendrick Bogaert, Gesù assiste Giuseppe nella bottega del falegname.
Un'immagine simile e molto suggestiva la troviamo nel dipinto di Gerrit van Honthorst Gesù nella bottega di san Giuseppe (1617-1618).

Giuseppe e Maria che si dividono i compiti, che si avvicendano, sono un modello genitoriale affettuoso e moderno.
In questa opera di Battista e Dosso Dossi (1520-1530) è Giuseppe a trasportare Gesù bambino, quando la coppia torna a casa dopo la fuga in Egitto, mentre Maria gli dà indicazioni su come comportarsi.
Forse l'immagine più nota a riguardo è la figura di Giuseppe nel Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti, dipinto tra il 1503 e il 1504, in cui l'uomo prende in braccio Gesù, un gesto amorevole per permettere a Maria, stanca, di riposare. 
Giuseppe che ama quel bambino, scambia con lui momenti di affetto.
Giambattista Tiepolo dipinge il 
San Giuseppe col Bambino (1732), che possiamo ammirare nella chiesa del Santissimo Salvatore, detta anche "chiesa dei Disperati", e 
raffigura un tenero momento in cui Giuseppe coccola amorevolmente Gesù tenendolo in braccio. 

L'immagine di Giuseppe come padre affettuoso e attento è un elemento ricorrente nell'arte, 
Pensiamo ad esempio a San Giuseppe con il Gesù dormiente di Guido Reni (1635 circa).
Il mio è solo un breve excursus ma gli esempi di questo affetto verso Gesù e verso Maria, sua consorte, sono molteplici, ne troverete di eccellenti in molti libri di storia dell'arte.
Ciò che ci tenevo a sottolineare è che la figura di Giuseppe, già importante nelle Scritture, ha trovato una nuova vita nell'arte, o sarebbe meglio dire che gli artisti hanno saputo rivelare al mondo la sua vera natura. 
L'immagine di Giuseppe viene spogliata dai paramenti teologici per entrare in un'ottica diversa, quella umana.
La scelta di Giuseppe di accettare Gesù e crescerlo deve dunque essere vista non solo come una presa di coscienza di fede ma soprattutto come un vero atto d'amore.
Verso Maria e verso quel bambino destinato a cambiare il mondo.
Per lui quel piccino non è il Cristo destinato a sacrificare la sua vita per l'umanità tutta.
Il bambino a cui cuce le vesti, a cui prepara un bagnetto caldo, che culla per farlo addormentare, che sorregge nei suoi primi passi, a cui affiderà la sua bottega per lui è semplicemente il piccolo Yeshua.
Suo figlio, non per sangue, ma per amore. 



(L'immagine di copertina dell'articolo è tratta dal film per la TV "San Giuseppe di Nazareth", che vede l'attore austriaco Tobias Moretti nei panni di Giuseppe e Stefania Rivi nel ruolo di Maria.) 


mercoledì 17 marzo 2021

San Patrizio e il cristianesimo celtico, storia di una convivenza tra religioni.

Parlando di Halloween e del Natale ho più volte spiegato di come nel corso della storia le tradizioni e i simboli pagani siano stati integrati all'interno del nuovo culto cristiano per favorire la convivenza armonica tra le genti e rendere più semplice la conversione dei popoli.
La storia dell'evangelizzazione dell'Irlanda ad opera di San Patrizio va vista in quest'ottica, e non solo. Il caso irlandese è stato emblematico e di ispirazione.
San Patrizio (385-461) viene considerato il vero fondatore della chiesa d'Irlanda.
Presumibilmente nato in Scozia Patrizio (Padraìg o semplicemente Patrick) venne fatto schiavo in giovane età, portato dalla Britannia all'Irlanda, dove riuscì a fuggire. 
Sull'isola di smeraldo ebbe, secondo le testimonianze, una visione che lo convinse di essere destinato a convertire i Celti alla religione cristiana.
Si trasferì in Gallia e qui acquisì le competenze necessarie dal vescovo Germano di Auxerre, che lo nominò vescovo nel 420, e dagli asceti nelle isole del Mar Tirreno imparò le norme del monachesimo.
Fatto ciò tornò in Irlanda con l'ordine di papa Celestino di evangelizzare l'isola; si stabilì inizialmente ad Armagh, città che divenne poi la sede episcopale, e iniziò la sua predicazione.
Invece di imporre la nuova religione Patrizio decise di adeguarsi alla cultura e alla società del paese che lo ospitava.
Imparò ad esempio il gaelico, in modo da poter predicare e dialogare nella lingua autoctona, si dedicò ad opere caritatevoli in aiuto dei bisognosi.
Col tempo fondò monasteri e abbazie, dando vita al monachesimo irlandese.
Patrizio fece una scelta molto particolare, che sarà di esempio ai suoi successori, ovvero quella di mantenere le radici e le tradizioni celtiche del popolo irlandese per unirle ai simboli e alla fede cristiani. 
Ad esempio la croce celtica, nata dall'unione della croce latina con il simbolo circolare del sole. Essa divenne ed è tutt'ora il simbolo del Cristianesimo celtico.
Questa peculiare forma di cristianesimo si diffuse, grazie a Patrizio e a suoi discepoli, in Irlanda, Cornovaglia, Galles e Bretagna nel V secolo. In Scozia e in Inghilterra arriverà circa un secolo più tardi.
La caratteristica di questa corrente è l'unione tra gli elementi della religione celtica con quelli del cristianesimo, unione che vede la perfetta integrazione delle due realtà. 
I simboli furono molto importanti nella predicazione di Patrizio.
La croce celtica, che abbiamo già nominato, ma anche il Triskell (detto anche triscele o Triskelis).
Per i druidi esso era il simbolo dei quattro elementi, dell'energia che muove l'universo.
Le sue braccia rappresentavano aria, terra e acqua, unite al centro dal fuoco sacro; elementi sempre in movimento nel ciclico muoversi del tempi e delle stagioni che scandiscono la vita.
Patrizio utilizzò questo simbolo per spiegare la Trinità composta da Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone che risiedono in una sola unità.
Il monachesimo irlandese fece propria questa simbologia, la utilizzò nella predicazione e nella creazione di opere, tanto che i Vangeli scritti e finemente decorati dai monaci in Irlanda tra il V e il VII secolo sono considerati tra le più importanti opere d'arte cristiana di quell'epoca.
Patrizio trovò alcuni appigli nella tradizione celtica anche per insegnare il Vangelo.
Per i Celti l'idea di una vita dopo la morte non era un concetto nuovo, essi credevano nella ciclicità della vita e nella reincarnazione, ma allo stesso tempo erano certi dell'esistenza di un luogo, il Sidh, dove risiedevano gli spiriti.
Pertanto la storia di Gesù che sconfigge la morte e torna tra i vivi con un nuovo messaggio di amore e speranza, per poi ascendere verso il Paradiso, venne accolta con interesse e partecipazione.
A loro che credevano in una continua infinita esistenza vissuta sotto forme sempre diverse non dispiacque l'idea che alla fine ci fosse per tutti una fine reale, nel regno dei cieli, in pace, pertanto iniziarono a farla propria e la inserirono nella loro teologia, fino a che essa non sostituì l'antica visione sulla reincarnazione.
Secondo le leggende Patrizio ispirò nei Celti una nuova consapevolezza, l'idea di un Dio che non pretende nulla dai suoi fedeli, a differenza degli dei pagani.
Emblematica è la storia che narra il suo duello con i druidi.
Per dimostrare la potenza delle divinità pagane i druidi oscurarono il cielo, al che Patrizio pregò Dio di riportare la luce. E ovviamente il cielo si rasserenò.
"Perché togli il sole a questa povera gente? Io invece vi porto la luce!" disse il santo.
Al di là del racconto leggendario, la differenza tra i santi e i druidi era in effetti molti labile nell'immaginario delle popolazioni pagane irlandesi.
Come i druidi i santi erano capaci di magie, i miracoli, la loro vita era di ispirazione per i credenti, era noti per dedicarsi alla meditazione, al digiuno, all'eremitaggio.
Infatti con la cristianizzazione i druidi scelsero proprio di ritirarsi nelle foreste, e considerata la loro preziosa conoscenza fu permesso loro di continuare a insegnare ai giovani le antiche tradizioni. 
Bisogna precisare che Patrizio fu favorito dal fatto che il druidismo celtico si trovava in un momento di decadenza a causa di lotte interne tra le classi sociali, e le popolazioni erano fiaccate dalla pressione romana, che però ancora non aveva intaccato i loro territori. 
Gli uomini che Patrizio e i suoi missionari si trovarono davanti per discutere l'evangelizzazione erano i bardi, responsabili della memoria collettiva del loro popolo, e soprattutto i fili, maghi che si erano acculturati e avevano acquisito nozioni di filosofia e giurisprudenza.
Questi ultimi guidavano spiritualmente e politicamente i clan irlandesi, e fu con loro che Patrizio instaurò il vero dialogo verso l'integrazione e la conversione.
Dal momento in cui egli convinse i fili ad accettare la nuova religione anche i membri dei clan fecero la stessa scelta.
A questo proposito, va fatta un'altra doverosa precisazione.
Nonostante le buone intenzioni di Patrizio stiamo comunque parlando di una campagna di conversione.
L'evangelizzazione altro non è se non un'invasione, non necessariamente militare ma culturale e religiosa, ed è ingenuo pensare che sia stata accolta a braccia aperte dalle popolazioni celtiche.
Anche nei territori irlandesi ci sono state lotte, opposizione, mancanza di fiducia verso i missionari, come è normale che sia quando si parla di questi avvenimenti storici.
La cristianizzazione ha modificato radicalmente la vita dei pagani in Irlanda e Gran Bretagna, non si può negare questa responsabilità.
Ma d'altra parte l'operato paziente e rispettoso voluto da Patrizio ha permesso che questo ostracismo e diffidenza fossero ridotti al minimo, e che l'assimilazione della religione cristiana fosse vissuta come un'evoluzione naturale.
Il rispetto verso i clan e la loro autorità fu uno dei punti cardine della cristianizzazione dell'Irlanda.
Quando un missionario convertiva un capoclan questi gli permetteva di costruire una chiesa e la sua abitazione su quei territori che appartenevano al clan.
Ciò rendeva i nuovi cristiani Celti una comunità
che col tempo prese il nome di monastero.
Esso era molto diverso dalla tipologia di monastero medievale a cui siamo soliti pensare. Il clan non era chiuso e isolato, anzi, la comunità monastica si dedicava all'agricoltura, alla caccia, alla costruzione, alla crescita del benessere della società.
In tutto questo mutamento sociale il capoclan conservava il suo potere temporale e secolare.
Col tempo si iniziò a conferirgli il titolo di abate.
Nei monasteri celtici l'abate era più importante del vescovo, vennero nominati sacerdoti uomini sposati e laici. Il celibato non era una regola ma era considerato una qualità morale. 
Un elemento interessante è la convivenza tra le comunità maschili e quelle femminili. Le donne godevano di diritti di uguaglianza, come era da sempre nelle tribù celtiche, erano sacerdotesse al pari degli uomini e potevano leggere e predicare le Scritture, dedicarsi allo studio e all'insegnamento. Addirittura potevano ascoltare le confessioni dei fedeli ed elargire penitenze e perdono. Col tempo vennero nominate le prime badesse.
Ecco perché Patrizio e i suoi missionari non trovarono una massiva resistenza di fronte alla loro predicazione.
La realtà dei clan, la fede religiosa e i suoi simboli, le abitudini sociali, nulla venne eliminato come era accaduto nelle evangelizzazioni di altri territori, tutto venne semplicemente riorganizzato, una nuova comunità cristiana con profonde radici celtiche.
Questa nuova gestione tra il laico e l'ecclesiastico perdurò certamente fino all' XI secolo.
In questa situazione che si reggeva in equilibrio tra le tradizioni antiche e la nuova religione cristiana nascono il monachesimo irlandese, maschile e femminile, e soprattutto il cristianesimo celtico, che per secoli si distinse dal cristianesimo romano.
Una peculiarità della chiesa celtica ad esempio risiede nel fatto che Patrizio proibì categoricamente la persecuzione delle streghe.
Inoltre il cristianesimo celtico, forse grazie alla sua apertura verso il monachesimo femminile evi suoi studi, giunse prima della chiesa cattolica alla consapevolezza dell'Immacolata concezione di Maria, nonché della sua Assunzione in cielo.
Le confessioni e le penitenze potevano svolgersi privatamente e non in presenza della comunità.
Dettaglio delicato da apprezzare, secondo la chiesa celtica i bimbi morti prima del battesimo non finivano all'inferno, come sosteneva la chiesa di Roma, essi sarebbero stati battezzati dopo la sepoltura dalla pioggia benedetta che scivolava sul terreno dai tetti delle chiese. 
Dato che la simbologia celtica come abbiamo visto venne assimilata all'interno della iconografia cristiana, grazie al cristianesimo celtico sono giunte fino a noi le tradizioni e i simboli antichi delle popolazioni irlandesi e britanniche, non solo come reperto storico archeologico da studiare ma anche come prassi religiosa da seguire.
Paradossalmente è anche merito della scelta di Patrizio di non abolire ma di conservare gli elementi della religione druiduca se oggi esiste un neo paganesimo di ispirazione celtica.
Patrizio, uomo e santo, diviso tra la sua fede e l'ammirazione per una cultura millenaria, consapevole della necessità di unione tra i popoli nel pieno spirito cristiano.
A lui è attribuita la famosa 
benedizione del viaggiatore irlandese, e con questa vi auguro un felice giorno di San Patrizio, nella speranza che la predicazione di questo santo sia di ispirazione per il futuro della convivenza tra culture distanti. 


"May the road rise to meet you,
may the wind be always at your back,
may the sun shine warm upon your face 
and the rains fall soft upon your fields and,
until we meet again, may God hold you in the palm of His hand."

(“Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle, che il sole splenda caldo sul tuo viso, e la pioggia cada dolce nei campi attorno e, finché non ci incontreremo di nuovo, possa Dio proteggerti nel palmo della sua mano.”)

lunedì 8 marzo 2021

Sifra e Pua, quando la disobbedienza di fronte al sopruso viene coniugata al femminile.


In alcuni articoli del mio blog ho affrontato la tematica delle figure femminili in ambito religioso e biblico, mostrando come spesso queste siano state penalizzate da una superficiale conoscenza dell'argomento e da una trasmissione filtrata e banalizzata da parte degli organi di competenza prima, e dal classico "sentito dire" poi.
Nella Bibbia vengono narrate molte storie di donne, ma spesso questi racconti rimangono marginali, poco conosciuti nonostante abbiano tanto da dire e da insegnare.
Le donne dell'Antico Testamento si contraddistinguono per il loro coraggio di fronte alle ingiustizie e la fedeltà ai propri valori. Insieme ai personaggi maschili, i cui nomi e le storie sono più noti, hanno contribuito a costruire la storia del loro popolo, e non solo, dell'umanità.
Non sono comprimarie, sono anch'esse protagoniste.
Un esempio di questo è la storia di Sifra e Pua.
Bellezza e splendore i significati dei loro nomi.
Le troviamo nel primo capitolo di Esodo, il secondo libro della Bibbia.
La vicenda si svolge in Egitto.
Da anni il popolo ebraico convive con gli egiziani in una prospera vicinanza.
Gli israeliti erano giunti in Egitto ai tempi di Giuseppe, il figlio di Giacobbe la cui storia, raccontata nella Bibbia, è molto nota.
Giuseppe, figlio prediletto del patriarca, viene venduto come schiavo dai fratelli e successivamente divenne gran consigliere del faraone, dopo un lungo periodo come servitore del gran visir Potifar.
Riconciliatosi dopo anni con la famiglia Giuseppe fece in modo di trasferire il popolo ebraico in Egitto, con il benestare del faraone.
Ovviamente questo è il racconto biblico, storicamente non è certo di come gli israeliti siano giunti in Egitto.
Siamo certi della loro presenza, le ipotesi più probabili parlano di migrazioni o di riduzione in schiavitù in seguito alle guerre egiziane contro i cananei.
La seconda ipotesi storica si intreccia in modo calzante con la narrazione del libro di Esodo.
L'esperienza di libertà e convivenza si trasforma progressivamente in oppressione.
Gli ebrei iniziano a diventare più numerosi degli egiziani e questo fatto crea preoccupazione sia tra il popolo che tra i nobili.
È il cambio della dinastia reale a rovesciare definitivamente l'atteggiamento nei confronti degli israeliti.
"Allora sorse sull'Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe, e disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli di Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti in caso di guerra si unirà ai nostri avversari.»" si dice in Esodo (1, 8-10)
Storicamente siamo intorno al 1300 aC, al potere c'è Seti I della XIX dinastia, una casata che conosce l'importanza del consenso popolare per un regnante, e che quindi accoglie le richieste dei suoi sudditi. Essi temono il diverso, l'israelita, e vogliono che si ingrandiscano le città.
Detto fatto.
Il faraone dunque inizia a togliere progressivamente diritti e libertà agli ebrei, fino a ridurli in schiavitù, costringendoli a costruire nuovi edifici.
Sono state rinvenute opere pittoriche dell'epoca in cui sono rappresentate le popolazioni semite dedite ai lavori forzati al servizio degli egiziani.
Ciò viene descritto anche nel testo biblico: "Gli Egiziani fecero lavorare i figli di Israele trattandoli duramente. Resero la loro vita amara costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi." (Es 1, 13-14)
Gli ebrei sono identificati come Hapiru, persone che non hanno i diritti degli uomini liberi, esseri inferiori.
Ma tutto questo non basta, passano gli anni e gli ebrei sono ancora troppo numerosi e gli egiziani vivono con la paura che possano ribellarsi e sopraffarli.
Sale al potere un nuovo faraone, gli studiosi sono concordi nel ritenere che il testo biblico faccia riferimento al regno di Ramsete II (1290-1224 aC).
Gli israeliti sotto il suo potere continuano ad essere schiavi e vengono di nuovo colpiti duramente, questa volta nella loro dignità e nella fede nel loro Dio.
È qui che entrano in gioco Sifra e Pua.
Le due donne sono levatrici, a loro il faraone affida un terribile incarico:

Il re d’Egitto parlò anche alle levatrici ebree, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua, e disse: «Quando assisterete le donne ebree al tempo del parto, osservate quando il neonato è ancora tra due sponde del sedile del parto¹: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, lasciatela vivere»." (Es 1, 15-16)

Ramsete II ordina dunque la soppressione di ogni figlio maschio nato in una famiglia ebraica.
Bisogna precisare che questa imposizione del faraone non è supportata da prove storiche, non c'è documentazione a riguardo, inoltre gli storici fanno presente il fatto che limitare la crescita della popolazione israelita non avrebbe avuto senso da un punto di vista sociale e per i bisogni del lavoro forzato.
La vicenda è infatti un espediente narrativo per enfatizzare la situazione di paura e oppressione in cui viveva il popolo ebraico. Erano esseri inferiori, ricordiamo, considerati nemmeno esseri umani.
L'autore di Esodo vuole focalizzare l'attenzione su due dettagli: l'uccisione dei figli maschi è un atto simbolico, di scherno verso la tradizione ebraica che indicava il figlio maschio come prosecutore della dinastia familiare; qui il faraone facendo uccidere i bambini ancora prima che possano prendere il primo respiro
si sostituisce al Dio degli israeliti, che aveva promesso loro fin dai tempi di Abramo una prospera discendenza. Il dio faraone è più imponente del vostro unico Dio, Egli non ha potere in Egitto.
Secondariamente, serve a introdurre la storia di Mosè, colui che molti anni più tardi libererà gli ebrei dalla schiavitù guidandoli fuori dall'Egitto.
Torniamo al racconto biblico.
Sifra e Pua, ricevuto l'ordine, decidono di rifiutarlo.
La loro disobbedienza però non è esternata in modo diretto, cosa che causerebbe loro lo morte e condannarebbe i neonati al loro destino.
Le due levatrici usano un sottile stratagemma:

"Ma le levatrici temettero Dio, non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro e lasciarono vivere anche i maschi. Allora il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i maschi?» Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane; esse sono vigorose e, prima che la levatrice arrivi da loro, hanno partorito»." (Es 1, 17-19)

La storia di Sifra e Pua è straordinaria, eppure nella Bibbia le si dedicano poche righe.
Quel "temettero Dio" non va inteso come paura.
È rispetto per quei valori che il loro Dio aveva insegnato agli uomini.
Ed esso ha più rilevanza dell'ordine di un tiranno.
È un messaggio di solidarietà femminile, Sifra e Pua rifiutano un ordine che le porrebbe in conflitto con altre donne, oltretutto in una situazione così delicata come quella di un parto, che le porterebbe a prendere una decisione sui  corpi e sulle vite di altre persone.
Inoltre queste due donne, semplici ostetriche, si schierano contro il potere costituito.
Nella Bibbia spesso troviamo esempi di come Dio scelga persone umili per contrastare i potenti e gli oppressori.
Il faraone era considerato una divinità in terra, disobbedirgli non era solo inconcepibile da un punto di vista sociale e legale ma anche religioso, era pura blasfemia.
Eppure Sifra e Pua non hanno paura di ingannarlo in nome di un ideale più grande.
Queste ostetriche riescono perfino a ridicolizzare, agli occhi del lettore, l'uomo più potente d'Egitto: questo Dio degli Egizi che cammina sulla Terra a quanto pare non ha la minima idea di come funzioni un parto e crede alle bugie delle due levatrici. 
Sifra e Pua che non si lasciano usare, ma anzi esercitano il loro potere espresso non nella violenza ma con l'intelligenza e l'astuzia.
Sifra e Pua che sono un archetipo femminile di coraggio e compassione valido non solo per il popolo d'Israele ma per ognuno di noi.
Perché se da una parte l'Antico Testamento ci racconta la storia del popolo ebraico dall'altra vuole narrare il percorso di vita dell'umanità intera.
Gli ebrei in Egitto sono ogni popolo oppresso, Sifra e Pua sono tutti coloro che hanno scelto di contrastare il male, quelli che in termini moderni sono stati chiamati, ad esempio, Giusti tra le nazioni.
Infatti in Esodo la vicenda si conclude con "Dio diede loro una numerosa famiglia."
Questo percorso di vita continua dunque con una discendenza simbolica, che negli anni a venire continuerà ad opporsi coraggiosamente ai tiranni, anche a rischio della vita, in nome di quei valori di umanità e compassione di cui Sifra e Pua sono state portavoce e ispirazione.
Non male per due piccole levatrici relegate in una manciata di righe, non trovate?



Note dell'autrice:
¹ le due sponde potrebbero intendere il sedile di pietra sul quale si trovava la donna durante il parto ma anche "tra le ginocchia", quindi nel momento subito precedente al parto.