giovedì 18 febbraio 2021

Memento mori.




Durante le celebrazioni del mercoledì delle ceneri il sacerdote sparge un pizzico di cenere sulla fronte dei fedeli. Questa cenere è ricavata dai rami dell'ulivo benedetto della Domenica delle palme, che vengono bruciati.
Il gesto simbolico ricorda alla comunità cristiana che la vita è effimera e che va vissuta pienamente secondo i dettami della fede cristiana, in preparazione non solo della Pasqua ma anche della morte terrena.
Durante il rito viene infatti pronunciata la frase "Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris", "Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai."
Questo ammonimento è preso dal libro di Genesi (Gn 3,19), quando Dio, scacciando Adamo ed Eva dall'Eden, ricorda loro l'origine e la fine della loro esistenza.
Il mercoledì delle ceneri la tradizione vuole che si mediti in digiuno e "ci si astenga dalle carni", che non indica solo il non mangiare carne, ma soprattutto ammonisce dal consumare rapporti sessuali, una sorta di astinenza rispettosa.
L'affermazione delle Ceneri sul "ricorda che polvere sei e polvere ritornerai" è strettamente legata al concetto, sviluppato in epoca medievale, del "memento mori", ovvero "ricordati che devi morire".
Ora sicuramente a tutti è venuta in mente la scena iconica del film del 1984 "Non ci resta che piangere", dove questo monito viene gridato a uno spaventato Massimo Troisi, il quale in tutta risposta ribatte: 
L'affermazione Memento Mori ha origine in epoca romana, veniva usata quando un condottiero tornava vincitore da una battaglia per mitigare la sua superbia e ricordargli che il successo di oggi può essere domani una tragica sconfitta. 
In epoca medievale il motto assume una forma diversa, diventa l'esaltazione della morte e della prassi penitenziale. 
Ciò è anche conseguenza della terribile pestilenza che afflisse l'Europa durante il XIV secolo.
Nel 1346 una virulenta peste nera colpì l'Europa e la dilaniò fino al 1353 dopo aver mietuto quasi 20 milioni di vittime.
Questa pandemia ha portato l'uomo e la Chiesa a interrogarsi sulla vita, sulla sua fine, su ciò che effettivamente rappresenta la morte. 
La fine della vita viene annunciata in modo cupo e minaccioso, la morte viene raccontata come un passaggio inevitabile e terribile, dove il giudizio sulle proprie opere terrene ne fa da padrone.
Le comunità religiose giunsero a diverse conclusioni sulla pandemia.
Le comunità musulmane considerarono la malattia come un segno, un dono divino, e come tale andava accettata e non evitata, vennero infatti proibiti gli spostamenti per allontanarsi dalle zone più colpite dalla pandemia, venne assicurato ai fedeli che chi moriva a causa della peste sarebbe poi stato ricompensato dell'aldilà al pari di un guerriero morto durante una guerra santa.
La Chiesa invece identificò la peste nera come una punizione divina, un castigo per la dissolutezza delle comunità, i peccati dei singoli, e la nascita di nuove eresie. 
Questa riflessione ha avuto ripercussioni sulla cultura cristiana e sugli ordini religiosi, nacquero infatti in questo contesto storico i movimenti dei flagellanti, monaci che si punivano frustandosi durante lunghe ed estenuanti processioni. Papa Clemente VI cercò di arginare questi fenomeno, che invece perdurò per quasi un secolo.
Il pontefice non dovette mitigare solamente questi atti di penitenza pubblica, che creavano ulteriore agitazione sulle popolazioni già abbastanza afflitte e terrorizze, dovette occuparsi anche di porre fine ai processi sommari e agli attacchi ai danno delle comunità ebraiche.
Gli ebrei infatti vennero identificati come coloro che, avvelenando i pozzi, avevano diffuso la malattia.
Clemente VI dovette emanare addirittura due bolle papali in cui condannava questi atti di antisemitismo e dichiarava che la pestilenza non aveva origine dall'uomo. 
Questo clima di ossessione nei confronti della morte e delle colpe terrene hanno influenzato la cultura, la letteratura e l'arte.
In questo contesto storico in tutta Europa nasce l'iconografia delle danze macabre.
Dance of Death in inglese, Danse Macabre in francese, Totentanz in tedesco, le danze macabre sono opere pittoriche in cui viene rappresentato un ballo in cui si avvicendano uomini e scheletri, a volte danzano insieme, si dilettano in girotondi, oppure si incamminano in una processione.
Questa danza rappresenta la vanità della vita, effimera e inutile di fronte all'inevitabile morte, che è destinata a calare sugli uomini e a portare via tutto ciò che si era costruito in terra.
All'inizio erano rappresentati solo uomini appartenenti alle classi sociali più importanti, nobili e membri del clero, ma col tempo questa usanza muta.
La morte riguarda tutta l'umanità, nessuno escluso, la terribile peste lo sta dimostrando ogni giorno colpendo tutta la popolazione.
Gli uomini vengono dunque dipinti per rappresentare tutti i ceti sociali e le età, a dimostrazione che la Morte quando giunge non risparmia nessuno. 
Non importa che tu sia un principe, un contadino, un prelato o un artigiano, il fato è ineluttabile ed è uguale per tutti. 
Col tempo negli affreschi si iniziano a raffigurare anche le donne, che diventano l'emblema della giovinezza e della bellezza, destinate a sfiorire di fronte alle malattie e alla morte.
Ma il buon cristiano non deve temere la fine, se ha seguito gli insegnamenti di Cristo durante la sua vita terrena può sperare in un giudizio clemente da parte della Nera Signora.
La Salvezza in Cristo è un concetto non sempre rappresentato direttamente ma è sottointeso nelle danze macabre.
Numerosi esempi di questo tema iconografico li troviamo anche in Italia, uno dei più famosi si trova nel mio Trentino, a Pinzolo, sul muro esterno della chiesa di San Vigilio, dipinta nel 1539 da Simone Baschenis. 
In questo affresco si può notare come uomini e scheletri si avvicendino in una sorta di processione, dove i morti accompagnano i vivi verso il loro inevitabile destino.
Simile alla danza macabra è il Trionfo della morte, opere pittoriche legate al concetto di Giudizio universale che rappresentano la Morte nell'atto di accogliere le anime dei defunti, affinché vengano giudicate.
Non ci sono processioni o balli, c'è solo la Morte, rappresentata come uno scheletro, che con la sua falce colpisce senza fare distinzioni di ceto sociale, età o sesso.
Un esempio molto suggestivo è il Trionfo della Morte conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo, dipinto da un anonimo. 
Qui la Morte non accoglie i defunti, addirittura dà loro la caccia a cavallo di un destriero scheletrico.
Queste opere pittoriche ricordano all'uomo che la vita è destinata a finire, ma ciò ha una doppia valenza.
Da una parte si insegna la necessità di seguire una linea di comportamento vicina ai valori cristiani, dall'altra fa intuire che la Morte, per citare Marcello Marchesi, deve trovarci vivi.
La vita va vissuta, riempita di significati e non di beni materiali, i quali non potranno seguirci nell'aldilà.
Ma ciò che viene fatto in vita, i ricordi, le azioni, gli affetti, quelli rimangono anche dopo la nostra dipartita.
Nel bene e nel male.
Il Memento Mori ci sprona ovviamente a seguire la prima di queste due opzioni. 


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