Lo scrittore francese Charles Baudelaire ha scritto:
Il più grande inganno che il diavolo ha fatto all'umanità è stato fargli credere di non esistere.
Ma chi è il diavolo di cui Baudelaire parla?È
È un'entità soprannaturale o è invece l'uomo stesso?
All’interno della teologia cristiana è aperto da sempre un dibattito simile : il diavolo esiste è solo una rappresentazione allegorica delle nostre colpe? Esiste Satana o esiste solo la necessità di incolpare qualcun altro per le nostre colpe e tentazioni?
Il diavolo è da sempre stato un argomento affascinante per artisti e studiosi.
La sua figura è motivo di interesse tra gli esponenti della teologia, e nonostante i numerosi dibattiti ancora non si è giunti ad un’opinione condivisa all’unanimità su tale argomento.
La Chiesa stessa non si esprime e lascia libertà di pensiero sulla sua esistenza effettiva.
I teologi a tutt’oggi si dividono tra coloro che ritengono il diavolo una realtà, un essere esistente capace di esercitare la propria azione sul mondo, e coloro che invece lo considerano una figura mitologica e letteraria, creata per simboleggiare tutto ciò che esiste di maligno e negativo.
Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’70 su questo tema si sono confrontate alcune personalità di spicco del panorama teologico approdando a conclusioni diverse.
Oggi parleremo di due teologi secondo i quali il diavolo sarebbe solo una creazione dell’uomo.
Rudolf Bultmann e la demitizzazione del diavolo.
Rudolf Bultmann ( 1884-1976) fu un teologo luterano tedesco.
Nato a Wiefelstede in Bassa Sassonia fu professore di Nuovo Testamento a Marburg.
Il suo nome divenne famoso quando espose una sua relazione a Alpirisach a una riunione della Comunità per la teologia evangelica dal titolo Nuovo Testamento e Mitologia ( Neues Testament und Mythologie) che verrà considerata il manifesto della demitizzazione del Nuovo Testamento.
Rudolf Bultmann nella sua opera di studioso affronta una tematica importante, ovvero la possibilità di credere e comprendere il messaggio cristiano neotestamentario nel mondo moderno.
Nel suo libro Nuovo Testamento e mitologia (1967) inizia la sua riflessione parlando dell’annuncio cristiano, in cui troviamo una visione mitica del mondo articolato in tre piani: al vertice c’è il Cielo abitato da Dio e dalle figure celesti, alla base ci sono gli Inferi come luogo dei tormenti eterni e al centro vi è la Terra dove le forze soprannaturali di Cielo e Inferi agiscono sugli avvenimenti naturali e sull’uomo, sulla sua volontà e sul suo operare.
L’uomo in questa visione non è padrone di se stesso perché sia Dio che Satana possono guidare il suo pensiero e le sue azioni. Anche la storia stessa riceve impulsi e sarebbe pilotata da poteri soprannaturali.
Per Bultmann è una pretesa assurda e impossibile che l’uomo moderno accetti ancora tale visione: assurda perché questa posizione non è tipicamente cristiana, è una visione del mondo tramandata da epoche più antiche, impossibile perché ogni epoca storica prevede mutamenti nella cultura religiosa e perciò questo modo di concepire il mondo non è così immutabile come si pensi, anzi è proprio l’uomo stesso a mutarla nel tempo. Ma per cambiarla deve riconoscere che questa visione tradizionale del mondo non è più sostenibile, solo così può progettarne una nuova. Scrive Bultmann in Nuovo testamento e mitologia:
«Così la visione del mondo può mutare in seguito alla scoperta copernicana o per effetto della teoria atomica; oppure quando il romanticismo scopre che il soggetto umano è ben più complesso e ricco di quanto potevano far ritenere l’illuminismo e l’idealismo; o per il fatto che si prenda nuova coscienza del posto che spetta alla storia e alla tradizione nazionale».
Con questi esempi Bultmann ci mostra come nel corso della storia il pensiero umano sia cambiato e abbia scoperto cose grandiose, grazie a menti che hanno voluto e saputo ampliare la visione sul mondo e sull’umanità.
Anche la teologia deve affrontare questa questione ma non può certo pensare di risolvere il problema ripristinando la vecchia visione del mondo, sarebbe sacrificare ulteriormente la fede dei cristiani senza risolvere i loro dubbi.
Il problema per l’annuncio cristiano nasce proprio quando l’uomo, non condividendo più questa visione mitica del mondo, non ne condivide più nemmeno la professione di fede perché sente di non poterla vivere con onestà. Gli uomini sono creature che tendono ad abbandonare ciò che non riescono a capire fino in fondo e questo mito li porterebbe proprio alla rinuncia.
Come si può seguire con coerenza una religione se non se ne condividono gli aspetti più basilari? Bultmann si interroga:
«Che senso possono avere oggi professioni di fede come queste : ‘disceso agli inferi’ o ‘asceso al cielo’ se chi le emette non condivide la mitica visione di un mondo articolato in tre piani, visione che sta alla base di queste formulazioni?».
E subito dopo ci dà la risposta :
«Tali articoli di fede, li si può professare onestamente solo qualora sia possibile spogliarne la verità dalla rappresentazione mitica in cui è avviluppata, nel caso che tale verità vi sia».
Il nostro autore sostiene che sia necessario in sede teologica demitizzare il Nuovo Testamento per non creare confusione nell’animo del credente e mantenere viva in lui la fede nell’Annuncio.
E’ il mito stesso a esigere la demitizzazione, perché esso non ha intenzione di dare una visione obiettiva del mondo ma esprime come l’uomo intenda se stesso nel mondo, essendone egli l’autore.
L’uomo nello scrivere racconta e personifica le sue speranze e le sue paure, le sue ambizioni e i suoi fallimenti, da questo nascono i miti nelle diverse culture.
Lo stesso Nuovo Testamento invita alla critica perché al suo interno ci sono numerose contraddizioni e discrepanze. Scrive Bultmann :
«Così, per esempio, si trovano giustapposte la morte di Cristo concepita come sacrificio e la morte di Cristo concepita come un evento di portata cosmica, la sua persona riconosciuta come quella del Messia, e la sua persona riconosciuta come quella del secondo Adamo. Tra di loro contradditori sono la presentazione della chenosi del preesistente (Fil. 2, 6 ss ) e il resoconto dei suoi miracoli, coi quali egli dimostra di essere il Messia ; non meno contraddittorio dell’idea delle preesistenza è il parto verginale di Maria.(…)Ma l’esigenza critica viene acuita soprattutto da una particolare contraddizione che percorre il Nuovo Testamento nel suo insieme: da un lato abbiamo la determinatezza cosmica dell’uomo, dall’altro l’appello alla decisione; da un lato il peccato che ha il peso di una fatalità, dall’altra è colpa».
Quindi oltre alle differenze sulla vita di Cristo e sulle sue opere ciò che crea più confusione nel cristiano è che da un lato c’è la determinazione dell’uomo, una vita già stabilita , possiamo chiamarla destino, e dall’altra il libero arbitrio, la possibilità di scegliere.
Bultmann non suggerisce di operare dei tagli sul canone biblico ma afferma che sia necessaria ora più che mai una diversa interpretazione più critica della mitologia neotestamentaria.
Parlando del diavolo, vediamo che per Bultmann anche la credenza in lui e negli spiriti maligni deve essere analizzata criticamente.
Il concetto di peccato deve essere demitizzato poiché non nasce dalla schiavitù a un demonio ma dalla libera scelta e non è opera di entità malefiche.
La responsabilità del peccato deve tornare a ricadere sull’uomo e non su creature tentatrici.
La demitizzazione delle Sacre Scritture valorizzerebbe queste ultime perché eliminerebbe ciò che confonde l’uomo e lo disturba nel suo vivere la fede con onestà.
Herbert Haag e la riduzione linguistica.
Sulla stessa linea di pensiero di Bultmann si colloca anche Herbert Haag.
Classe 1915 (è venuto a mancare nel 2001), è stato un teologo e presbitero svizzero, curatore del dizionario biblico Bibel-Lexikon. Con i suoi scritti si è spesso inimicato la Congregazione per la dottrina della fede le sue posizioni critiche sul peccato originale, sulla successione pontificia e sul celibato ecclesiastico.
Inoltre Haag è un sostenitore della corrente ecclesiastica che sostiene che il diavolo in realtà non esiste.
Nel 1969 ha scritto un'opera dal titolo inequivocabile, La liquidazione del diavolo, in cui sostiene che quella di Satana non sia un’esistenza fisica ma linguistica.
Di fronte all’angoscia e al dolore nel mondo l’uomo cerca una spiegazione. Haag fonda questa risposta sulla Bibbia: già nella Genesi si racconta del diavolo che tenta Adamo ed Eva sotto forma di serpente ( Gen 3); nel Nuovo Testamento gli evangelisti lo considerano un nemico “che semina zizzania tra il buon seme seminato da Dio”(Mt 13,39) ed è “colui che ruba dal cuore dell’uomo i chicchi di frumento della parola di Dio.”(Lc 8,12).
Nella Bibbia ci viene detto che nonostante Gesù sulla croce abbia vinto il diavolo ogni uomo nella sua vita deve affrontare una lotta continua con lui.
Siamo stati educati a pregare per essere protetti da Satana e con il battesimo, il primo sacramento della vita del cristiano, il diavolo viene esorcizzato.
Sembra quindi che la predicazione della Chiesa e le Sacre Scritture suggeriscano che il male derivi da un’ entità malvagia, il diavolo.
Qui si pone però un problema secondo Haag: ci viene appunto raccontato di un’entità che può condizionare la vita umana, ma la decisione di fare il bene o il male rimane nelle mani dell’uomo perché Dio lo ha creato libero.
La questione del libero arbitrio criticata anche da Bultmann.
L’uomo può scegliere tra bene e male e vive il conflitto con la seduzione di quest’ultimo, con la tentazione che paradossalmente è parte della libertà umana e la chiama in causa.
Nel Nuovo Testamento ci viene detto che anche Gesù venne più volte tentato, in particolare all’inizio della sua attività pubblica e prima della Passione. Ma Gesù è diverso rispetto al resto dell’umanità, la sua natura divina certamente ha contribuito al fatto che fu sottoposto alla tentazione ma non vi cedette mai. E qui ritorna l’angoscia dell’uomo che sa che se viene tentato rischia sempre di cedere e peccare.
Il peccato appartiene alla nostra umanità, è un’azione raccontata anche nella Bibbia e questo confonde ancora di più il credente : Adamo, il primo uomo, nell’Eden aveva tutto ciò che si poteva desiderare eppure viene calamitato verso l’unica cosa che gli era stata proibita, un frutto. Situazione analoga la troviamo nel Nuovo Testamento con la parabola del figliol prodigo: un ragazzo che ha tutto, suo padre gli può regalare qualsiasi cosa e lui invece con arroganza pretende la sua eredità per andarsene per il mondo a divertirsi.
Si deve precisare che questa storia «non si è mai svolta così, non è affatto una storia vera»: Adamo non è un personaggio storico, è la rappresentazione dell’uomo tipico, come era nella storia passata e come sarà nella storia futura; ciò che accade nell’Eden non è un avvenimento storico ma mostra come l’uomo ceda con facilità alla tentazione se si sanno toccare gli argomenti giusti. Stesso discorso vale per la parabola del figliol prodigo, si tratta di un racconto immaginario che prende spunto da una situazione comune, un figlio che decide di lasciare la casa paterna credendo di potersi realizzare da solo abbandonando le sue tradizioni e i suoi affetti. Difatti Haag precisa che il peccato di Adamo ed Eva è detto originale e non storico, «ciò che il racconto del paradiso terrestre intende presentarci non è il primo peccato, bensì semplicemente il peccato dell’uomo, qual è sempre stato e oggi continua ad essere e sempre sarà».
Di conseguenza la fatica, il dolore e la morte, le pene inflitte all’uomo per la sua disubbidienza non hanno origine con il peccato di Adamo ed Eva, sono dettagli letterari che abbelliscono un racconto.
Per il teologo è una contraddizione.
Come si può immaginare un Dio feroce e crudele che prima punisce così severamente le sue creature e che poi cambia indole ed idea e manda addirittura suo Figlio a morire per la loro redenzione?
Sarebbe altrettanto strano immaginare un Dio che non riesce a far rispettare al suo Creato il destino che aveva progettato per esso per colpa di due persone. Questo dimostra ulteriormente che il racconto di Genesi è assolutamente una metafora della realtà umana e non un saggio storico.
Detto questo però non si può negare che l’uomo sia portato naturalmente alla tentazione e al peccato.
Adamo è la rappresentazione dell’uomo e il male non è altro che un istinto innato nel cuore dell'umanità che vive accanto al suo opposto, il bene.
E’ proprio Dio stesso che ha creato l’uomo non immune dal peccato, anzi egli vi è portato naturalmente e ha molte probabilità di cedervi.
Non si deve dimenticare che la Bibbia stessa non attribuisca la responsabilità del peccato a una personificazione del male, al diavolo, questa è un’interpretazione ecclesiastica realizzata in epoche successive.
È dunque sbagliato scaricare la colpa del male nel diavolo perché Dio considera l’uomo stesso responsabile del suo peccato.
Anche nella Genesi non gli si attribuisce tale responsabilità , nel testo biblico non si parla di diavolo ma di serpente, “il più astuto fra tutte le bestie selvatiche.”
L’uomo si è sempre chiesto come il male penetrasse in lui e si è convinto che entrasse in lui dall’esterno, scansandone così la responsabilità.
Del resto lo ha fatto lo stesso Adamo in Gen 3,12, quando messo alle strette da Dio, afferma: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ho mangiato». Ed Eva, di rimando, si difende nel versetto successivo dicendo : «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Questo passo biblico mostra semplicemente un atteggiamento tipico dell’uomo in ogni epoca storica: scaricare la responsabilità del male fatto su qualcuno o qualcosa di estraneo a se stesso.
La figura di Satana nell’Antico Testamento sembrerebbe rappresentare proprio una risposta dell’ uomo al problema del male: è Satana a istigare a compiere azioni malvagie solo per invidia dell’amore e della pace che l’uomo condivide con Dio.
Con il libro di Enoch, un testo ebraico del 200 a.C. , si descrive l’origine di tali entità malvagie le quali in origine erano angeli di Dio che hanno scelto di ribellarsi contro di Lui guidati da Lucifero, e così nelle diverse interpretazioni dell’Antico Testamento il serpente di Genesi 3 viene identificato con Satana che ha mutato forma fisica per tentare Adamo ed Eva nel paradiso terrestre; e di conseguenza il peccato dell’uomo è attribuito alla tentazione del demonio invidioso.
Questa visione è stata tramandata ovviamente nel Nuovo Testamento, che riprende riferimenti su un mondo di spiriti malvagi che ha carattere monarchico di cui Satana è il re indiscusso ed è l’avversario di Dio e del Suo ordine del mondo, per questo l’evangelista Giovanni lo chiama più volte “principe di questo mondo”. ( Gv 12,31;14,30;16,11).
Ma in realtà, dice Haag, l’esistenza del diavolo è puramente linguistica, nasce infatti da un’errata interpretazione, da una personificazione di concetti astratti quali il male, la tentazione, il peccato e infine la morte, dalla necessità di dare una risposta agli uomini impauriti dall'esperienza del peccato.
Il fatto che si sia usata la parola diavolo o Satana nella Scrittura dipende dal contesto giudaico degli autori biblici, di cui anche gli Evangelisti portano un forte retaggio. Nella cultura ebraica infatti, soprattutto nei midrashim e nel Talmud, si fa riferimento ai demoni che conducevano al peccato l’uomo solo per opporsi a Dio, insidiando l’uomo con calunnie, e queste immagini vengono riportate anche nell’Antico Testamento.
Satana, l'oppositore, il bugiardo.
Nel corso della storia di Israele fino al tempo di Gesù si credeva all’esistenza di spiriti sia buoni che cattivi che cercano di guidare l’uomo verso la salvezza o verso la dannazione.
Nel Nuovo Testamento però, ci dice Haag, con “diavolo”, “Satana” non si intende un personaggio fisico o una creatura maligna con poteri occulti ma si intende il peccato stesso: non è Satana a impedire il bene, alla parola di Dio di crescere nell’uomo, è il peccato a farlo; Gesù non ci mette in guardia dal diavolo ma dal peccato, che come abbiamo visto è insito nella natura umana.
Un esempio di questa interpretazione errata Haag lo colloca nel vangelo di Giovanni : Gesù durante l’ultima cena dice ai suoi discepoli: «Eppure uno di voi è il diavolo!» riferendosi a Giuda che ha fatto posto nel suo cuore al peccato, al tradimento, che è l’opposto dell’amore: Giuda qui è chiamato diavolo solo perché avversario (satàn) dell’amore di Dio.
Già nella cultura di Israele troviamo che il peccato è l’opposto dell’amore di Dio perché esso porta a chiudersi in se stessi, a isolarsi evitando di abbracciare la comunità, evitando l’unione con i propri fratelli.
Il peccato separa dagli altri ma anche da se stessi e porta inevitabilmente alla morte, perché distrugge la vita. E l’uomo, non il diavolo, crea questa condizione dettata dall’egoismo.
Sempre l’evangelista Giovanni ,parlando di Giuda Iscariota (Gv 12,4-6), ci racconta proprio questo suo carattere egoista e opportunista:
«Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse : ‘Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?’ Questo egli disse non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro».
E’ chiaro quindi che si usa il termine diavolo per indicare l’egoismo di una persona, egoismo che è un peccato nella nostra ottica.
E Giuda durante l’ultima cena se ne va, esce, e questo uscire nella notte indica la sua uscita dalla grazia nel peccato.
La personificazione del male in Satana serve a rendere il messaggio più incisivo, Gesù. A differenza di Adamo Cristo riconosce il peccato come propria responsabilità, lo accoglie e se ne libera, e così facendo supera le prove che Dio mette sul suo cammino, e riesce a superarle perché è un uomo diverso, nuovo, che sa operare le scelte giuste.
Per Haag l’uso di questa terminologia mitica ha indotto in errore i fedeli portandoli a credere che le loro preghiere i loro rituali siano indirizzati contro una figura reale da combattere, quando invece queste si riferiscono a mitigare un istinto umano. L’uomo non deve temere entità malefiche ma deve combattere la sua debolezza nel cedere al male.
Ma finché la Chiesa non opererà una nuova demitizzazione delle Scritture il cristiano non potrà mai comprendere veramente come agire in se stesso.
Per Haag la Sacra Scrittura non contiene dichiarazioni specifiche sull’esistenza del diavolo, né impone al cristiano di crederci o di considerarlo un’entità reale, pertanto la Chiesa non può utilizzare la Bibbia per giustificare la sua dottrina sul diavolo.
interressante e condivido, e le cosiddette"punizioni" del peccato sono le ovvie conseguenze del volersi fare Dio sull'altro. quindi scelte umaneò
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