La connivenza e il silenzio della chiesa cattolica durante il nazismo e di fronte all'orrore dell'olocausto sono un argomento molto dibattuto da storici e teologi.
Fermo restando che la responsabilità e le colpe di questo genocidio rimangono nelle mani degli esecutori materiali non si può dimenticare che esiste una complicità morale nell'operato di coloro che, seppur potendo agire in modo concreto e autorevole, sono rimasti a guardare senza intervenire.
Secondo il Talmud colui che di fronte al male rimane impassibile è complice di questo male, e d'altra parte chi si prodiga per combatterlo «salva il mondo intero», come ricorda il celeberrimo film "Schindler's list".
Per questo il ruolo della chiesa cattolica e di Papa Pio XII (nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli; 1876 – 1958)
è tristemente ambiguo.
Il pontificato di questo papa è costellato di luci e ombre.
Nel 1933 Pacelli, ancora segretario di Stato e cardinale, firmò a Roma il Reichskonkordat con la Germania, un concordato molto discusso con cui la Chiesa di fatto riconosceva la validità del regime nazista a patto che esso continuasse a permettere la libertà di culto e non interferisse col lavoro dei partiti e delle associazioni cattoliche.
Accordo che venne poi violato sistematicamente dal regime nazista.
Per questo motivo papa Pio XI (nato Ambrogio Damiano Achille Ratti; 1857 – 1939) scrisse nel 1937 l'enciclica Mit brennender Sorge (Con viva bruciante preoccupazione) in cui condannava il nazismo e la sua ideologia considerata un nuovo paganesimo:
«Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio. [...] un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti.»
Pio XI condanna senza mezzi termini anche il culto ariano della razza.
La reazione di Hitler fu eclatante.
Fece sequestrare ogni copia dell'enciclica e diede il via a una serie di processi farsa in cui i sacerdoti cattolici vennero accusato di gravi reati, anche a sfondo sessuale, con la conseguente condanna e deportazione nei campi di concentramento.
Ma se appunto papa Ratti si distaccò violentemente dall'ideologia nazista il suo segretario Pacelli continuò a operare in modo diplomatico e discreto nei confronti del regime, differenza che causò una rottura tra i due.
Nel 1939 muore Pio XI.
Secondo alcuni testimoni da lì a pochi giorni si sarebbe dovuto esprimere contro il regime fascista e il nazismo durante una riunione coi vescovi, e non solo, aveva già scritto con l'intento di pubblicarla un'enciclica contro l'antisemitismo, l'Humani generis unitas.
Opere che non vedranno mai la luce, in quanto Pacelli diede ordine che ogni documento del pontefice a riguardo venisse distrutto.
Si troverà una copia dell'enciclica solo alla fine degli anni '60, e questa scoperta getta un'ulteriore ombra sull'operato di Pacelli.
Perché questa decisione di occultare le parole del defunto pontefice,
parole che avrebbero avuto un incredibile peso sulle coscienze dei cattolici dell'epoca?
Fu una scelta diplomatica dettata dal non voler creare ulteriori tensioni oppure da simpatie nei confronti del regime?
Gli storici nel corso degli anni hanno dato risposte diverse e contrastanti.
Nel 1939 proprio Pacelli viene nominato come successore di Pio XI con il nome di Pio XII.
L'atteggiamento della Santa Sede sotto il nuovo pontefice riguardo alle deportazioni degli ebrei è ambiguo.
Spiccano alcuni spiragli di luce, testimonianze dei tentativi di aiutare la popolazione inerme, gesti riconosciuti e apprezzati anche dagli esponenti delle odierne comunità ebraiche, come quando i tedeschi imposero agli ebrei romani di consegnare 50 chili d'oro per evitare la deportazione, in quella situazione il Vaticano contribuì alla raccolta fornendone 20.
Durante il rastrellamento del ghetto di Roma Pio XII diede l'ordine di aprire le porte dei conventi e dei monasteri al fine di proteggere i fuggiaschi. Si conta che quasi 12.000 ebrei trovarono così la salvezza negli ultimi anni dell'occupazione tedesca.
Eppure il silenzio del Papa sulle deportazioni resta assordante, le poche iniziative diplomatiche di forma si perdono di fronte alla totale assenza di prese di posizione concrete ed effettive.
L'opinione comune è che Pio XII abbia preferito tacere per evitare che Hitler occupasse la Città del Vaticano, azione che inevitabilmente avrebbe posto fine al suo pontificato.
L'ennesima scelta diplomatica da capo di stato e non da successore di Pietro.
Viene da chiedersi a cosa avrebbe portato in termini storici un'opposizione ferrea e decisa da parte della Santa Sede a questi orrori.
Pur riconoscendo dei meriti a Pio XII rimangono ancora dubbi sulla natura dei rapporti tra la Chiesa e il regime nazista.
Due ombre in particolare si stagliano all'orizzonte.
Il rapporto Gerstein e la Rattenlinien.
Dicevamo che di fronte alla realtà dei campi di concentramento l'assenza da parte del Vaticano è imbarazzante e sospetta.
Il Vaticano era a conoscenza, come lo erano gli Alleati, dello sterminio perpetuato in quei luoghi, ne furono informati da diverse fonti.
Una di queste fu
Kurt Gerstein (1905 – 1945), ufficiale delle SS, membro dell'Istituto d'igiene e successivamente Capo dei Servizi Tecnici di Disinfestazione.
Come supervisore alle camere a gas assistette al vero utilizzo del gas Zyklon B.
Gerstein era un devoto cristiano, di confessione protestante, che già in passato era stato incarcerato per aver messo in discussione gli ordini dei superiori in quanto li riteneva in contrasto con la sua fede e i suoi valori.
E di fronte allo sterminio di massa di persone innocenti Gerstein nuovamente diede ascolto alla sua coscienza.
Stilò un resoconto, il rapporto Gerstein appunto, in cui raccontava in modo dettagliato ciò che aveva testimoniato nei campi di concentramento.
Cercò di portare il documento all'attenzione non solo degli Alleati, anche della Santa Sede, ma si trovò di fronte un muro di ostilità e disinteresse, in particolare nella persona del nunzio apostolico a Berlino Cesare Orsenigo, che rifiutò di incontrarlo.
Il nunzio non era nuovo a questo tipo di ostracismo a favore del regime, infatti mai una volta intervenne in favore della comunità ebraica tedesca, delle vessazioni che subivano i cattolici, e mai riferì al Vaticano la drammaticità della situazione.
Gerstein riuscì a far inviare il rapporto direttamente a Roma, ma non ricevette mai una risposta dal Vaticano.
Il suo appello cadde nel vuoto.
Perché questa indifferenza?
Forse la risposta si trova nella seconda ombra che oscura l'operato del Vaticano.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale
gli ufficiali nazisti sfuggiti al processo di Norimberga crearono a Strasburgo
l'organizzazione O.D.E.S.S.A (Organisation der ehemaligen SS-Angehörigen ovvero
Organizzazione degli ex-membri delle SS)
che aveva il compito non solo di
trasferire all'estero i capitali accumulati dal Reich, in particolare in Spagna dove vigeva la dittatura dell'amico Francisco Franco, ma anche di garantire la fuga dall'Europa ai suoi membri.
Da qui la creazione della
Rattenlinien (la via del ratto o rat line per i servizi segreti alleati) per permettere la fuga in Sudamerica di numerosi criminali di guerra nazisti.
La Rattenlinien fu uno dei progetti purtroppo più riusciti dell'organizzazione, ed è nota anche
come via dei monasteri, in quanto questi edifici di proprietà della chiesa cattolica furono il primo nascondiglio per molti criminali nazisti.
Luoghi sacri che prima avevano ospitato le vittime ora ne ospitano i carnefici.
Figure di spicco del partito nazista quali Josef Mengele, Adolf Eichmann ed Erik Priebke trovarono rifugio in Sudamerica grazie anche all'intervento di figure autorevoli della chiesa cattolica.
In particolare fu determinante l'intervento del vescovo austriaco
Alois Hudal (1885-1963) da sempre simpatizzante del regime e fervente antisemita.
Secondo molti testimoni Hudal era amico di Pio XII.
Karl Bayer,
paracadutista dell'esercito tedesco che collaborò col vescovo, sostenne che il Papa aveva fornito il denaro per la creazione dei documenti falsi e per i trasporti oltreoceano.
Nel 1947 il giornale cattolico “Passauer Neue Presse” accusò pubblicamente Hudal di aver organizzato la fuga dei criminali di guerra, e il vescovo dal canto non negò mai il suo coinvolgimento nella fuga dei criminali di guerra, anzi ha sempre sostenuto di aver agito su ordine diretto del Vaticano.
Nonostante la sua ammissione di colpa nessuno intervenne; Hudal non rinnegò mai il suo ruolo, anzi, continuò a dichiarare di aver operato nel giusto. Venne invitato a dimettersi solo nel '52, e si ritirò a vita privata a Grottaferrata.
La motivazione di Hudal, così come quella
della Santa Sede, di fare fuggire questi criminali di guerra va ricercata
nella necessità del Vaticano (e degli Stati Uniti d'America, spesso partner in crime di queste operazioni) di arginare l'avanzata del comunismo ateo.
Della serie, il nemico del mio nemico è mio amico.
Tra i nomi dei prelati coinvolti in queste operazioni spiccano quelli di Giuseppe Siri, vescovo di Genova, e di monsignor Giovanni Montini, colui che diventerà papa Pio VI.
Una seconda rotta, detta di San Girolamo, si occupava invece di far fuggire nel Nuovo Mondo gli ustascia croati coinvolti nei crimini nazisti nella ex Jugoslavia.
Il Vaticano dunque forniva dei documenti provvisori col timbro ufficiale della Pontificia commissione di assistenza, a cui seguivano passaporti e lasciapassare rilasciati dalla Croce Rossa Internazionale.
Proprio lo studio dei documenti rinvenuti negli archivi post bellico della Croce Rossa ha tolto ogni dubbio sul coinvolgimento della Chiesa nella Rattenlinien.
Dalla Germania i criminali nazisti giungevano a Genova passando attraverso Madrid o Salisburgo, e dal capoluogo ligure potevano imbarcarsi per il Sudamerica.
Un ruolo importante lo giocò anche la collaborazione del presidente argentino Juan Domingo Perón (985 – 1974), che incentivò i nazisti a trasferirsi nel suo paese, dove avrebbero trovato un nascondiglio sicuro. Ovviamente pagando profumatamente la permanenza, dettaglio che non fu un problema.
I già citati Eichmann e Priebke vennero infatti arrestati solo dopo molti anni di vita tranquilla nel paese sudamericano.
Il quadro che si palesa davanti a noi non è edificante, anzi, mostra un coinvolgimento della Chiesa cattolica che va ben oltre il semplice non intervenire di fronte a un'ingiustizia.
Ma se l'Istituzione è più volte scesa a compromessi nel suo rapporto con il Reich lo stesso non si può dire di donne e uomini di fede che hanno messo a repentaglio e spesso sacrificato la propria vita per salvare degli innocenti, in nome del vero credo cristiano.
Nei prossimi articoli vi racconterò le loro storie.
(Nella foto, Mathieu Kassovitz in una scena del bellissimo film del 2002 "Amen", del regista Costa-Gavras, che racconta la storia del rapporto Gerstein)
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