giovedì 1 aprile 2021

Pesach, le radici ebraiche della Pasqua cristiana.


Tra pochi giorni l'universo cristiano sarà impegnato nella celebrazione della Pasqua, la maggiore festività cristiana che ricorda la morte e la resurrezione di Gesù Cristo.
Come si narra nei vangeli Gesù muore in croce e dopo tre giorni risorge, per poi annunciarsi ai suoi discepoli.
Se guardiamo alla vicenda di Gesù da un punto di vista storico e culturale è evidente il collegamento con la religione ebraica.
Non solo perché Gesù, Yeshua, era ebreo ed era cresciuto professando la religione del suo popolo.
La sua morte e resurrezione affondano le radici nel simbolismo della Pasqua ebraica e lo trasformano in qualcosa di nuovo.
Il nome della Pasqua ebraica è Pesach, in ebraico significa "oltrepassare".
Questo "passare oltre" è riferito a un episodio raccontato nel libro dell'Esodo.
Il contesto è il racconto biblico della schiavitù in Egitto.
Mosè ha già scatenato nove piaghe contro la testardaggine del faraone che si rifiutava di liberare il popolo ebraico.
La decima sarà la più terribile, la morte di tutti i primogeniti di Egitto.
Per salvarsi dal passaggio mietitore di Dio le famiglie ebree dovettero segnare gli stipiti delle proprie porte con sangue di agnello e rimanere in casa.
In questo modo Dio, notando il sangue, sarebbe passato oltre e avrebbe risparmiato il primogenito di quella famiglia.
Come è scritto in Esodo:
"Andate a procurarvi un capo di bestiame minuto per ogni vostra famiglia e immolate la pasqua. Prenderete un fascio di issòpo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spruzzerete l'architrave e gli stipiti con il sangue del catino. Nessuno di voi uscirà dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l'Egitto, vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire." (Es 12,21-23)
Come è ben noto, dopo la morte dei figli di Egitto il faraone accettò di liberare gli schiavi, per questo Pesach è anche chiamata "Tempo della liberazione".
Il testo di Esodo subito dopo aggiunge:
"Voi osserverete questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre. Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? Voi direte loro: È il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case." (Es 12, 24-27)
Questi ultimi versetti danno il via alla celebrazione annuale di Pesach.
La Pasqua ebraica dura 8 giorni.
Il primo giorno, che cade fra il 14 e il 15 del mese di Nisan (settimo mese del calendario ebraico, tra marzo e aprile) si celebra il ricordo di quella notte che aveva preceduto la liberazione dalla schiavitù in Egitto in cui l'angelo della morte aveva risparmiato i figli di Israele, mentre i successivi sette giorni sono detti Festa dei Pani non lievitati o Festa dei Pani Azzimi.
La prima e la seconda sera ci si ritrova per recitare il Seder, un rito che prevede un avvicendarsi ordinato di cibo e preghiera in cui si ricorda la vicenda narrata in Esodo.
Nei giorni di Pesach è proibito consumare cibi lievitati, in ricordo di quando gli ebrei in Egitto la sera prima della liberazione dovettero cucinare il pane ma non ebbero il tempo di farlo lievitare. (Es 12,34: "Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli.")
Il pane senza lievito, detto azzimo, si chiama matzà.
Questa tradizione storicamente può derivare anche dal fatto che gli agricoltori ebrei, per celebrare il primo raccolto, offrivano a Dio il primo covone di orzo e il primo pane, che veniva preparato senza lievito perché più puro.
L'assenza di lievito dunque, nell'ambito della liberazione dalla schiavitù, simboleggia una purificazione, finalmente il popolo ebraico può liberarsi dalla violenza egiziana, dalle ingiustizie, e soprattutto gli ebrei devono purificare se stesso dalla mentalità dell'essere schiavo, per incamminarsi verso un nuovo sentiero di pace e prosperità.
Un'altra pietanza tipica di questi giorni sono le erbe amare, per mantenere vivo il ricordo degli anni di schiavitù patiti dal popolo ebraico. 
Il piatto del Seder di Pesach deve comprendere gli alimenti che hanno acquisito un significato simbolico: gli azzimi, l'agnello, le erbe amare, di cui abbiamo parlato, inoltre si può mettere un uovo sodo, simbolo del Tempio distrutto, composta di frutta che dovrebbe ricordare la malta usata dagli ebrei per costruire i mattoni, del sedano che simboleggia la primavera.
Durante la cena sono i bambini a chiedere agli adulti informazioni sulla storia della liberazione dall'Egitto, i piccoli vengono coinvolti con giochi, canzoni e racconti. 
"In che cosa si distingue questa notte dalle altre?” viene chiesta come prima domanda, e qui gli adulti rispondono, discutono, riflettono sulle motivazioni di questa celebrazione.
Questa scelta non è casuale, infatti come abbiamo visto questo coinvolgimento è raccomandato nel libro dell'Esodo.
È importante che le nuove generazioni conoscano, che non dimentichino ciò che è stato.
Zikkaron, fare memoria, se ricordate abbiamo parlato di questo fondamento della cultura ebraica.
La Pasqua ebraica celebra la libertà di un popolo che può finalmente spogliarsi dalle catene della schiavitù per cercare una nuova vita nella Terra Promessa, può sperare in un futuro di continuità tra le vecchie generazioni e le successive.
Nuova vita, rinascita.
È ora evidente che il periodo di Pesach è stato scelto per il suo valore simbolico per diventare il tempo della morte e della resurrezione di Gesù 
In entrambe le celebrazioni è importante il concetto di passaggio.
Dalla schiavitù alla libertà, dalla vita alla morte.
Ma sempre passando per quest'ultima.
In Esodo è la morte dei primogeniti egiziani, nei vangeli è la morte di Gesù in croce.
I tempi della passione e morte di Gesù si incastrano nelle celebrazioni di Pesach.
L'Ultima cena altro non è che una cena pasquale celebrata in anticipo il giovedì sera, probabilmente perché Gesù sapeva che a causa del suo sacrificio imminente non avrebbe potuto festeggiare nella data esatta.
Come in Esodo viene raccomandato di fare memoria di quella sera in Egitto anche nei vangeli si dice esplicitamente che ciò che è avvenuto nell'ultima cena di Gesù va celebrato e ripetuto, "Farete questo in memoria vedo me".
Gesù muore in croce il venerdì, quando nelle celebrazioni di Pesach venivano immolati gli agnello e si celebrava il primo Seder. 
Gesù che si sacrifica, si immola, l'agnello di Dio.
Un altro collegamento lo troviamo nelle abitudini della nuova comunità cristiana formatasi dopo la morte di Cristo grazie alla sua predicazione e al proselitismo dei suoi discepoli.
La frazione del pane, gesto liturgico ereditato dalla tradizione mosaica, rimarrà un elemento molto importante per i primi cristiani.
Nel nuovo testamento la moltiplicazione del pane viene citata ben sei volte.
È un gesto che si fa insieme, in condivisione.
Gesù lo fa nell'ultima cena, assieme alle persone che ama e che lo amano, potremmo dire in famiglia, come avrebbe fatto durante uno Shabbat qualsiasi. 
Frazione del pane ma anche l'assiduità nelle preghiere, l'insegnamento degli apostoli alle genti.
Queste erano le caratteristiche della quotidianità dei primi cristiani.
Gesti che ci ricordano la cultura ebraica del tempo: l'importanza dei pasti come celebrazione e ricordo, la dedizione nel recitare le preghiere giornaliere, le lezioni in sinagoga, momenti vissuti come comunità, insieme, che trovano una nuova continuità nella comunione in Cristo.
I primi cristiani dunque altro non erano che ebrei che decisero di seguire gli insegnamenti di Gesù, maestro e rabbi. 
Non c'è infatti da subito una nuova religione, Gesù non ne ha fondata nessuna. Semmai la fondarono i suoi discepoli e i successori di questi ultimi. 
Gli elementi di questa prima liturgia cristiana sono strettamente collegati con la tradizione giudaica, anche se proiettati verso la novità della predicazione di Cristo.
I termini "cristianesimo" e "cristiani" verranno utilizzati almeno due secoli dopo, per indicare nello specifico i seguaci non ebrei di Gesù.
Infatti la predicazione al di fuori delle mura di Gerusalemme ebbe molto successo e portò alla fondazione di nuove comunità cristiane nell'impero romano e oltre i suoi confini.
Se all'inizio i membri della comunità erano solo giudei cristiani adesso si aggiungevano anche i pagani, principalmente romani, e gli ellenisti, gli ebrei di lingua greca.
La comunità si ingrandisce, nascono nuove esigenze che vanno comprese e dove possibile assecondate.
Fu allora che iniziarono le prime polemiche sull'appartenenza o meno alla comunità, le prime difficoltà a condividere i riti e i pasti. Le differenze di cultura tra i vari gruppi era notevole, e creò numerosi dibattiti interni. Ogni gruppo aveva infatti accolto il messaggio di Cristo, ma lo aveva conformato in base alle proprie tradizioni religiose e culturali.
Nascono quindi i primi attriti a causa delle differenze culturali, e non è semplice continuare a considerarsi fratelli come un tempo e conservare lo propria identità.
Gli ebrei della chiesa di Gerusalemme temono che l'ingresso dei pagani possa creare degli squilibri, hanno paura che la legge mosaica possa essere accantonata per venire incontro ai romani.
Un problema molto sentito fu la comunione dei pasti.
La libertà alimentare dei pagani si scontrava con le rigide regole kosher della cucina ebraica.
Altro motivo di scontro fu la questione del battesimo.
Era esso sufficiente per diventare cristiani, oppure i pagani dovevano prima convertirsi all'ebraismo, per poter conoscere la legge mosaica e vivere secondo essa, per poi scegliere di farsi battezzare in Cristo?
Si apre un dibattito, svoltosi durante un concilio a Gerusalemme.
Ce ne parla Luca negli Atti degli apostoli.
Inizialmente interviene l'apostolo Pietro, che cerca di spiegare che Dio non fa preferenze tra le persone, che accoglie chiunque nella sua Chiesa. 
Ma per la comunità ebraica questa facilità di conversione appare come uno sminuire la propria identità e la legge di Mosè.
A trovare un compromesso sarà Giacomo, che ricorderà a tutti che ogni popolo appartiene a Dio, che i pagani non giungono per sostituire ma per essere parte di questa nazione universale.
Giacomo chiederà ai pagani di rispettare poche regole per non turbare la comunità giudaica: non mangiare la carne degli animali sacrificati o soffocati, astenersi dai matrimoni tra consanguinei, non mangiare carni al sangue.
La richiesta di Giacomo non è facile da accettare, in quanto parliamo di usanze molto radicate tra i pagani, che invece erano blasfeme per la comunità ebraica. 
Questo provvedimento di Giacomo terrà a bada le tensioni per un certo periodo, in cui giudei e pagano si troveranno a condividere pacificamente i momenti dei pasti, della preghiera e dell'eucarestia.
A tenere insieme la comunità fu anche la parusia, l'attesa della seconda venuta di Gesù tra le genti.
Evento che però tardava anno dopo anno a verificarsi, creando ovviamente dubbi e malcontento.
La rottura con la comunità giudeo cristiana sarà inevitabile.
Lentamente si cominciò ad attuare un processo di ellenizzazione del pensiero cristiano, con l'accettazione di principi religiosi e norme etiche relativi all'ambiente greco e alla sua filosofia, un percorso fu guidato dalla necessità di trovare spiegazioni razionali alle parole di Dio.
Questa trasformazione dell'identità culturale è una svolta naturale nella storia della creazione di ogni popolo, e anche la comunità cristiana vi passò attraverso, uscendone diversa, sempre meno legata alla propria origine giudaica, della quale però manteneva ancora degli aspetti ormai radicati, vedi l'utilizzo della sinagoga come modello per l'organizzazione della liturgia e della vita ecclesiastica e l'uso dell'Antico Testamento come libro sacro. 
Ma piano piano la comunità iniziò a sentirsi non più come parte del mondo giudaico ma come il compimento di Israele in Cristo, quindi come una realtà del tutto nuova.
La Pasqua fu proprio uno dei punti di rottura tra le due realtà culturali.
Sebbene Pasqua e Pesach venissero festeggiate l'una nel rispetto dell'altra, completandosi, intorno al 150 dC in Israele e Asia Minore si iniziò a celebrare la Pesach di modello cristiano il 14 di Nissan, ma in Occidente si iniziò a ricordare la resurrezione di Cristo solo la domenica successiva, come a voler dimostrare il costante distacco dalle tradizioni mosaiche.
Questa tradizione perdura ancora oggi.
La Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana sono festività mobili e nonostante si celebrino in date vicine non possono cadere mai nello stesso giorno.
Il calcolo della data della Pasqua cristiana sarà deciso in via definitiva con il Concilio di Nicea (325 dC): la Pasqua si celebra la domenica successiva alla prima luna piena di primavera, che cadeva solitamente il giorno dell'equinozio, il 21 marzo, data che verrà utilizzata da lì in avanti come riferimento. Essa dunque è sempre compresa tra il 22 marzo e il 25 aprile
La Pasqua cristiana, parliamo delle confessioni cattolica e protestante, si discosta a questo punto da Pesach per due motivi: il primo è che si festeggia sempre di domenica, giorno della resurrezione di Gesù, ma giorno proibito per la Pasqua ebraica; il secondo è che per il calcolo del plenilunio non viene più usato il calendario ebraico ma il calendario gregoriano.
Gli ortodossi usano invece quello giuliano.
Col passare del tempo il distacco della comunità cristiana dalla sua componente ebraica sarà sempre più evidente e definitivo.
Si stanno infatti formando una nuova teologia e una nuova liturgia con tratti originali propri, i quali si sono ormai sostituiti agli usi e alle tradizioni giudaiche.
Le nuove generazioni, che ormai vengono definite cristiani, sono una realtà trasformata e nuova, con una sua identità, che non è più memore delle sue radici ebraiche.
Ripetiamolo, questo aspetto della nascita di un popolo, questo abbandono delle origini, è del tutto normale storicamente e antropologicamente parlando.
Ma questa dimenticanza delle proprie radici giudaiche si trasformerà secoli dopo in antagonismo e diffidenza nei confronti del popolo ebraico.
Tra il IV e il VI secolo l'impero romano è ormai retto da un'autorità cristiana.
È in questo contesto che inizia a nascere la teoria che il popolo ebraico sia responsabile della morte di Gesù.
Per questo Dio li avrebbe condannati a una schiavitù eterna, in eterna diaspora, lontani dalla terra promessa. 
Nel corso del medioevo la società, a partire dalle autorità politiche e religiose, iniziò a trattare gli ebrei come inferiori, a chiuderli nei ghetti, a limitare le loro libertà.
Pietro di Amiens, predicatore integralista, scatenò contro di loro una crociata in varie città della Germania, e ciò diede il via libera ad azioni simili in tutta Europa.
La Chiesa da parte sua non smentì le accuse di deicidio, favorendo con il suo silenzio la nascita di un nuovo fanatismo antiebraico.
Con il concilio lateranense IV del 1215 venne condannata la pratica dell'usura, attività che era concessa solo agli ebrei in quanto i cristiani non potevano prestare a interesse, e impose ai giudei di indossare un cappello che permettesse di distinguerli dagli altri cittadini.
In molte città gli ebrei furono obbligati a presenziare alle predicazioni cristiane.
Per avere protezione dai sovrani i giudei dovettero accettare un nuovo tipo di schiavitù, essere sfruttati economicamente dalle autorità.
Nei primi secoli dell'anno 1000 Federico I li definì addirittura proprietà della casa imperiale, con Federico II si iniziò a parlare di regalia degli ebrei, termine con cui si indicava che ogni ebreo e i suoi averi erano un tributo per i principi.
Tra il XIII e il XV le famiglie ebree diventarono il capro espiatorio per ogni tragedia.
Dal 1348 una terribile pestilenza infettò l'Europa, gli ebrei inevitabilmente vennero accusato di esserne i responsabili, di essere degli untori, ciò scatenò numerose rappresaglie contro le comunità.
Inoltre iniziò a circolare la voce che durante le festività pasquali gli ebrei rapissero i bambini per brutalizzarli in macabri riti di sangue.
Guarda caso è sempre Pesach, la Pasqua, ad essere il fulcro dell'incomprensione.
Gli ebrei immolavano gli agnelli, ma nell'immaginario collettivo essi indicavano gli innocenti, i fanciulli, e non un animale. 
Anche in questo caso i cristiani dimenticarono il passato, non tanto le proprie radici ma soprattutto la loro storia, dato che loro stessi erano stati accusati dai romani di cannibalismo a causa dell'incomprensione sui loro riti pasquali e sull'eucarestia.
L' interpretazione popolare dei riti ebraici si intrecciò con la realtà e prese vita di fronte a diversi casi di cronaca nera dell'epoca.
In Germania nel 1287 Werner di Orberwesel, un ragazzo di 16 anni, venne ritrovato ucciso e appeso a una colonna a testa in giù, dissanguato. Dell'omicidio vennero immediatamente accusati gli ebrei del luogo, che avrebbero svolto il macabro rituale il Giovedì santo, durante le loro celebrazioni di Pesach.
Nel 1294 una leggenda narra che venne ritrovato crocifisso un giovinetto di Berna, Rodolfo, e subito vennero arrestati dei commercianti ebrei con l'accusa di aver ucciso il ragazzo per scimmiottare la crocifissione di Gesù Cristo.
Chi è nato in Trentino come me conosce certamente la vicenda di Simonino da Trento, avvenuta nel 1475 nel principato vescovile, quando una famiglia della comunità ebraica della città venne accusata di aver brutalmente assassinato il piccolo per motivi rituali legati alla celebrazione pasquale.
I sospettati vennero torturati e condannati a morte.
Da allora la comunità ebraica abbandonò gradualmente il capoluogo trentino per paura di ritorsioni e nuove false accuse.
Infatti da allora su Trento per secoli ha penduto un cherem, ovvero un anatema, che impediva agli ebrei di stabilirsi nel capoluogo trentino
L'inquisitore spagnolo Tomas de Torquemada prese probabilmente spunto da questa vicenda per orchestrare un processo ai danni dei presunti assassini del Niño de La Guardia (il bambino di La Guardia), infante che secondo la storia era stato vittima di un omicidio rituale ebraico che prevedeva la crocifissione e asportazione del cuore del bambino.
Dato che da secoli le comunità ebraiche vivevano a fianco degli spagnoli cattolici era necessario creare un clima ostile nei confronti di ebrei e marranos, i giudei convertiti al cristianesimo, per ottenere consenso popolare verso l'editto del 1492 firmato dai reali di Spagna, che prevedeva l'espulsione di chiunque non avesse aderito alla fede cattolica.
È interessante notare come queste vittime siano state considerate dei martiri della fede cattolica e santificati. Per secoli infatti saranno oggetto di culto e devozione, fino alle varie rettifiche della chiesa cattolica che arriveranno a partire dal 1900 dopo nuovo studi storici sulle questioni.
Anche la chiesa luterana diede il suo contributo per alimentare questo crescente antisemitismo.
Nel suo libro Degli ebrei e delle loro menzogne del 1543 Martin Lutero accusa i giudei di essere figli del Diavolo, che egli li ha mandati tra i cristiani per avvelenare i pozzi e rapire i bambini per usarli in sacrifici umani, e che pertanto era giusto che bruciassero sul rogo.
Nel 1555 il papa cattolico Paolo IV prese la decisione di istituire dei quartieri riservati alle comunità ebraiche, i ghetti, e stabilì un loro codice di abbigliamento e vietò loro il possesso di immobili.
Da qui in poi la storia degli ebrei in Europa è costellata di ingiustizie legalizzate, persecuzioni e olocausti, che conosciamo bene.
Abbiamo anche già parlato dell'ambiguo ruolo ricoperto dalla Chiesa cattolica durante queste tragedie storiche.
Solo recentemente si è finalmente cercato un nuovo dialogo, anche da parte della religione cattolica, con coloro che sono a tutti gli effetti i fratelli maggiori dei cristiani.
Non ho scelto questa espressione a caso.
Fu papa Giovanni Paolo II a coniarla.
Durante il suo pontificato,l papa Wojtyla ha cercato un concreto riavvicinamento tra la Chiesa ed le comunità ebraiche, iniziando da quella di Roma.
Un primo passo lo aveva già mosso Giovanni XXIII che nel 1959 si recò a benedire gli ebrei che uscivano dal Tempio maggiore di Roma e decise di eliminare l’espressione “perfidi giudei” nella liturgia del Venerdì Santo. 
Giovanni Paolo II nel 1986 sarà il primo papa nella storia a visitare amichevolmente una sinagoga ebraica.
Disse Wojtyla: "La Chiesa di Cristo scopre il suo legame con l’Ebraismo scrutando il suo proprio mistero. La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in un certo qual modo, è intrinseca alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori."
Anche papa Francesco ha riconfermato nel 2016 questa vicinanza familiare tra ebrei e cristiani, il senso di appartenenza e identità in un unico popolo di Dio, un'unione imprescindibile nonostante le differenze.
Radice e ramo di un unico albero, destinati, si spera, a prosperare insieme nell'ottica di quella libertà che contraddistingue la Pasqua di entrambi. 



(L'immagine di copertina è un fotogramma del colossal del 1956 "I dieci comandamenti", in cui la famiglia di Mosè, un magistrale Charlton Heston, è intenta a celebrare la prima Pasqua in terra d'Egitto.)  



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