mercoledì 24 febbraio 2021

L'incredibile attualità del Giorno pagano della memoria.


Il 24 febbraio è il giorno pagano della memoria.
Non si conosce bene l'origine di questa iniziativa, ma dal 2006 le federazioni e le confessioni pagane hanno deciso di dedicare questa giornata al ricordo delle numerose, troppe vittime del fanatismo religioso.
La data non è stata scelta a caso.
Se ricordate nel mio articolo sui Saturnali avevo parlato dell'imperatore Costantino, il quale emanò nel 313 dC l'editto di Milano, chiamato anche editto di tolleranza, che permise la libertà della confessione cristiana.
L'imperatore Teodosio successivamente si discostò da questa strada per la convivenza civile tra le diverse culture religiose.
Nel 380 dC emanò a Tessalonica un editto di fede.
«Tutti i popoli governati a norma della nostra clemenza debbono per nostra volontà perseverare nella religione che il divino apostolo Pietro ha trasmesso ai romani.(...)
Noi ordiniamo che tutti coloro che osservano questa legge conservino il nome di cristiani cattolici, mentre giù altri, che a nostro giudizio sono pazzi e dementi, si addossano la vergogna di una dottrina eretica (...); essi debbono intanto essere colpiti dal giudizio divino,ma poi anche dalla pena che sarà a noi notificata secondo l'ispirazione da noi ricevuta dal cielo.»
Con questo Editto della religione Teodosio assunse il cristianesimo al rango di religione di Stato.
Se da una parte questa decisione portò a migliorie all'interno della società, vedi la costruzione di basiliche, l'incremento delle attività caritatevoli, trattamento più civile per carcerati e schiavi, dall'altra essa scatenò la diffidenza nei confronti di coloro che erano considerati pagani o eretici.
Ci vorranno quasi dieci anni prima che questo Editto abbia dei risvolti pratici sulla vita della popolazione, e quando accadde clima di sospetto verso il diverso credo religioso si scatenò in terribili atti di intolleranza.
Saranno soprattutto quattro nuovi editti di Teodosio, emanati tra il 391 e il 392 dC, a scatenare e armare la furia dei fanatici cristiani.
Il primo, Nemo se hostiis polluat, emesso il 24 febbraio 391, vietò tutti i sacrifici rituali pagani in forma sia pubblica che privata, proibì l'ingresso nei templi e nei santuari e l'adorazione di statue delle divinità pagane.
Gli editti successivi sono conferme di quanto decretato nel primo, con l'aggiunta nell'ultimo documento al ricorso della pena di morte per chi continuava a professare la religione pagana.
In seguito a queste conferme vi furono incursioni nei templi, gli stessi e le statue vennero distrutti. 
Venne raso al suolo il tempio di Artemide ad Efeso, ad Alessandria molti templi furono convertiti in chiese, scatenando una guerriglia civile che contò numerosi morti.
A Callinico (nell'attuale Siria) nel 388 dC venne colpita la comunità ebraica, in quanto i cristiani distrussero la sinagoga della città.
Teodosio impose alla comunità di ripagare il danno, decisione che venne aspramente criticata da Sant'Ambrogio, all'epoca vescovo di Milano, e pertanto ritirata.
Tra gli effetti di questo Editto ci fu il linciaggio e omicidio della docente e scienziata Ipazia di Alessandria. (415 dC).
Il 24 febbraio dunque è una data simbolica, scelta come giorno del ricordo in relazione a questi editti contro i pagani.
Purtroppo essi sono solo la punta dell'iceberg della costante e mirata persecuzione ai danni delle religioni pagane compiute dalle diverse confessioni cristiane.
La lotta alle eresie, la caccia alle streghe nel Vecchio e nel Nuovo Mondo, sono solo alcuni esempi di come si sia evoluta questa intolleranza nel corso della storia.
Se da un lato questa giornata vuole essere usata per meditare e celebrare il ricordo di coloro che furono perseguitati, torturati e uccisi dai poteri religiosi, dall'altro ci permette di fare luce sulle attuali persecuzioni in atto in molti Paesi del mondo.
La superstizione e il fanatismo religioso e culturale purtroppo mietono ancora molte vittime.
Secondo Amnesty International in nazioni quali 
Papua Nuova Guinea, Ghana, Zambia, Arabia Saudita, Congo, Tanzania, Kenya, India ancora oggi donne e bambini vengono arrestati, torturati e trucidati perché considerati colpevoli di stregoneria. 
In molti paesi africani le persone affette da albinismo rischiano ogni giorno la vita perché considerati stregoni, vengono uccisi e parti del loro corpo vengono vendute come amuleti contro il malocchio. 
Spesso le vittime sono bambini.
In Ghana esistono ancora i roghi di giovani donne bruciate vive, anche se secondo molte associazioni la vera natura di questa caccia alle streghe è di tipo economico. Le vittime infatti vengono uccise per potersi impossessare delle loro proprietà.
Una simile situazione si riscontra in India, dove le presunte streghe vengono private dei denti e poi bruciate vive, e anche qui c'è il sospetto che le accuse siano ben mirate per permettere ai parenti di ereditare i beni della defunta, di solito vedova. 
La meravigliosa Franca Rame ci ha regalato anni fa un monologo molto emozionante, "Io sono una strega", mi permetto di citarlo, è davvero calzante e senza tempo.
 
«Non importa chi sono.
Non importa come mi chiamo.
Potete chiamarmi Strega.
Perché tanto la mia natura è quella. 
Da sempre, dal primo vagito, dal primo respiro di vita, 
dal primo calcio che ho tirato al mondo.
Sono una di quelle donne che hanno il fuoco nell’anima,
sono una di quelle donne che hanno la vista e l’udito di un gatto, 
sono una di quelle donne che parlano con gli alberi e le formiche,
sono una di quelle donne che hanno il cervello di Ipazia, di Artemisia, di Madame Curie.
E sono bella! 
Ho la bellezza della luce, 
ho la bellezza dell’armonia, 
ho la bellezza del mare in tempesta, 
ho la bellezza di una tigre, 
ho la bellezza dei girasoli, della lavanda e pure dell’erba gramigna!
Per cui sono Strega.
Sono Strega perché sono diversa, sono unica, sono un’altra, 
sono me stessa, sono fuori dalle righe, sono fuori dagli schemi, sono a-normale… sono io!
Sono Strega perché sono fiera 
del mio essere animale-donna-zingara-artista e … folle ingegnere della mia vita.
Sono Strega perché so usare la testa, perché dico sempre ciò che penso, 
perché non ho paura della parola pericolosa e pruriginosa, della parola potente e possente.
Sono Strega perché spesso dò fastidio alle Sante Inquisizioni 
di questo strano millennio, di questo Medioevo di tribunali mediatici e apatici.
Sono Strega perché i roghi esistono ancora e io – prima o poi – potrei finirci dentro.»

I roghi esistono ancora, bruciano, sta a noi scegliere se essere coloro che lo accendono, o che li spengono. 
Per sempre.

giovedì 18 febbraio 2021

Memento mori.




Durante le celebrazioni del mercoledì delle ceneri il sacerdote sparge un pizzico di cenere sulla fronte dei fedeli. Questa cenere è ricavata dai rami dell'ulivo benedetto della Domenica delle palme, che vengono bruciati.
Il gesto simbolico ricorda alla comunità cristiana che la vita è effimera e che va vissuta pienamente secondo i dettami della fede cristiana, in preparazione non solo della Pasqua ma anche della morte terrena.
Durante il rito viene infatti pronunciata la frase "Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris", "Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai."
Questo ammonimento è preso dal libro di Genesi (Gn 3,19), quando Dio, scacciando Adamo ed Eva dall'Eden, ricorda loro l'origine e la fine della loro esistenza.
Il mercoledì delle ceneri la tradizione vuole che si mediti in digiuno e "ci si astenga dalle carni", che non indica solo il non mangiare carne, ma soprattutto ammonisce dal consumare rapporti sessuali, una sorta di astinenza rispettosa.
L'affermazione delle Ceneri sul "ricorda che polvere sei e polvere ritornerai" è strettamente legata al concetto, sviluppato in epoca medievale, del "memento mori", ovvero "ricordati che devi morire".
Ora sicuramente a tutti è venuta in mente la scena iconica del film del 1984 "Non ci resta che piangere", dove questo monito viene gridato a uno spaventato Massimo Troisi, il quale in tutta risposta ribatte: 
L'affermazione Memento Mori ha origine in epoca romana, veniva usata quando un condottiero tornava vincitore da una battaglia per mitigare la sua superbia e ricordargli che il successo di oggi può essere domani una tragica sconfitta. 
In epoca medievale il motto assume una forma diversa, diventa l'esaltazione della morte e della prassi penitenziale. 
Ciò è anche conseguenza della terribile pestilenza che afflisse l'Europa durante il XIV secolo.
Nel 1346 una virulenta peste nera colpì l'Europa e la dilaniò fino al 1353 dopo aver mietuto quasi 20 milioni di vittime.
Questa pandemia ha portato l'uomo e la Chiesa a interrogarsi sulla vita, sulla sua fine, su ciò che effettivamente rappresenta la morte. 
La fine della vita viene annunciata in modo cupo e minaccioso, la morte viene raccontata come un passaggio inevitabile e terribile, dove il giudizio sulle proprie opere terrene ne fa da padrone.
Le comunità religiose giunsero a diverse conclusioni sulla pandemia.
Le comunità musulmane considerarono la malattia come un segno, un dono divino, e come tale andava accettata e non evitata, vennero infatti proibiti gli spostamenti per allontanarsi dalle zone più colpite dalla pandemia, venne assicurato ai fedeli che chi moriva a causa della peste sarebbe poi stato ricompensato dell'aldilà al pari di un guerriero morto durante una guerra santa.
La Chiesa invece identificò la peste nera come una punizione divina, un castigo per la dissolutezza delle comunità, i peccati dei singoli, e la nascita di nuove eresie. 
Questa riflessione ha avuto ripercussioni sulla cultura cristiana e sugli ordini religiosi, nacquero infatti in questo contesto storico i movimenti dei flagellanti, monaci che si punivano frustandosi durante lunghe ed estenuanti processioni. Papa Clemente VI cercò di arginare questi fenomeno, che invece perdurò per quasi un secolo.
Il pontefice non dovette mitigare solamente questi atti di penitenza pubblica, che creavano ulteriore agitazione sulle popolazioni già abbastanza afflitte e terrorizze, dovette occuparsi anche di porre fine ai processi sommari e agli attacchi ai danno delle comunità ebraiche.
Gli ebrei infatti vennero identificati come coloro che, avvelenando i pozzi, avevano diffuso la malattia.
Clemente VI dovette emanare addirittura due bolle papali in cui condannava questi atti di antisemitismo e dichiarava che la pestilenza non aveva origine dall'uomo. 
Questo clima di ossessione nei confronti della morte e delle colpe terrene hanno influenzato la cultura, la letteratura e l'arte.
In questo contesto storico in tutta Europa nasce l'iconografia delle danze macabre.
Dance of Death in inglese, Danse Macabre in francese, Totentanz in tedesco, le danze macabre sono opere pittoriche in cui viene rappresentato un ballo in cui si avvicendano uomini e scheletri, a volte danzano insieme, si dilettano in girotondi, oppure si incamminano in una processione.
Questa danza rappresenta la vanità della vita, effimera e inutile di fronte all'inevitabile morte, che è destinata a calare sugli uomini e a portare via tutto ciò che si era costruito in terra.
All'inizio erano rappresentati solo uomini appartenenti alle classi sociali più importanti, nobili e membri del clero, ma col tempo questa usanza muta.
La morte riguarda tutta l'umanità, nessuno escluso, la terribile peste lo sta dimostrando ogni giorno colpendo tutta la popolazione.
Gli uomini vengono dunque dipinti per rappresentare tutti i ceti sociali e le età, a dimostrazione che la Morte quando giunge non risparmia nessuno. 
Non importa che tu sia un principe, un contadino, un prelato o un artigiano, il fato è ineluttabile ed è uguale per tutti. 
Col tempo negli affreschi si iniziano a raffigurare anche le donne, che diventano l'emblema della giovinezza e della bellezza, destinate a sfiorire di fronte alle malattie e alla morte.
Ma il buon cristiano non deve temere la fine, se ha seguito gli insegnamenti di Cristo durante la sua vita terrena può sperare in un giudizio clemente da parte della Nera Signora.
La Salvezza in Cristo è un concetto non sempre rappresentato direttamente ma è sottointeso nelle danze macabre.
Numerosi esempi di questo tema iconografico li troviamo anche in Italia, uno dei più famosi si trova nel mio Trentino, a Pinzolo, sul muro esterno della chiesa di San Vigilio, dipinta nel 1539 da Simone Baschenis. 
In questo affresco si può notare come uomini e scheletri si avvicendino in una sorta di processione, dove i morti accompagnano i vivi verso il loro inevitabile destino.
Simile alla danza macabra è il Trionfo della morte, opere pittoriche legate al concetto di Giudizio universale che rappresentano la Morte nell'atto di accogliere le anime dei defunti, affinché vengano giudicate.
Non ci sono processioni o balli, c'è solo la Morte, rappresentata come uno scheletro, che con la sua falce colpisce senza fare distinzioni di ceto sociale, età o sesso.
Un esempio molto suggestivo è il Trionfo della Morte conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo, dipinto da un anonimo. 
Qui la Morte non accoglie i defunti, addirittura dà loro la caccia a cavallo di un destriero scheletrico.
Queste opere pittoriche ricordano all'uomo che la vita è destinata a finire, ma ciò ha una doppia valenza.
Da una parte si insegna la necessità di seguire una linea di comportamento vicina ai valori cristiani, dall'altra fa intuire che la Morte, per citare Marcello Marchesi, deve trovarci vivi.
La vita va vissuta, riempita di significati e non di beni materiali, i quali non potranno seguirci nell'aldilà.
Ma ciò che viene fatto in vita, i ricordi, le azioni, gli affetti, quelli rimangono anche dopo la nostra dipartita.
Nel bene e nel male.
Il Memento Mori ci sprona ovviamente a seguire la prima di queste due opzioni. 


giovedì 4 febbraio 2021

Triora, la (non) Salem italiana.

Triora è un borgo ligure situato tra le Alpi Marittime occidentali nella provincia di Imperia.
Probabilmente il nome di questa cittadina apre un piccolo cassetto della vostra memoria, ma ancora non vi è chiaro il suo contenuto.
Proviamo a ricordare.
Triora si presenta come un agglomerato di case costruite quasi una addosso all'altra sulle rocce, tra i muri di pietra si snoda un labirinto di caruggi, i tipici vicoli liguri.
Il suo nome significa "tre bocche", come quelle di Cerbero, e c'è chi dice che esse indichino le aperture delle roccia che condurrebbero direttamente agli Inferi.
Percorrendo i vicoli si giunge al punto più estremo di Triora, vicino ai mulini, alla Ca Botina, un quartiere misterioso dove in tempi lontani era proibito recarsi dopo il tramonto.
Si diceva che in quel luogo si radunassero le streghe per celebrare i loro riti malvagi, ballare nude insieme al diavolo. Queste megere si acquattavano dietro i muri per sorprendere i bambini e rapirli, per poi mangiarli.
Ecco, ora è chiaro perché il nome di Triora vi è così familiare.
Si è parlato molto di questo borgo ligure negli ultimi anni, da quando vennero resi pubblici i documenti di quello che è considerato il più grande processo italiano per stregoneria della fine del XVI secolo.
All'epoca Triora dipendeva dalla Repubblica di Genova, e da due anni la regione era stata colpita da una insanabile carestia.
Come spesso è accaduto nel corso della storia il popolo cercò un capro espiatorio a cui attribuire la colpa di questa sciagura.
L'indice venne puntato contro alcune donne del paese, tutte residenti in quella Ca Botina, quartiere che in realtà di diabolico non aveva nulla se non l'ingiusta povertà di chi vi alloggiava.
Donne sole, costrette ad arrangiarsi come potevano per sopravvivere in quella miseria, guardate dall'alto in basso dal resto del paese, ma tollerate perché contribuivano alla vita della società triorese.
Erboriste, guaritrici, mammane.
Tutti le evitavano e le giudicavano in pubblico fino a che non avevano bisogno di loro, e a quel punto si recavano di nascosto alla Ca Botina a chiedere aiuto.
Nell'ottobre del 1587 le autorità del borgo guidate dal podestà Stefano Carrega fecero arrestare venti donne, denunciate dai loro concittadini durante una messa, e subito convocarono l'Inquisitore di Genova e il vicario di Albenga, tale Girolamo Del Pozzo, affinché istituissero un processo contro di loro.
Del Pozzo, da subito convinto della presenza del diavolo tra i vicoli del borgo, interrogò i trioresi, si fece descrivere i crimini commessi dalle donne che loro hanno accusato.
Più vengono ascoltati più raccontano, questi solerti cittadini.
Le donne non sono più colpevoli solo della carestia, il loro maleficio si estende alle malattie che hanno colpito il bestiame, agli aborti spontanei delle loro mogli, alla sparizione di alcuni bambini.
Del Pozzo documenta tutto con dovizia per poter procedere agli interrogatori.
E qui le donne vennero sottoposte a orribili torture, molte di loro pur di porre fine alla loro agonia ammisero la loro colpevolezza, alcune fecero i nomi di altre streghe che vennero subito arrestate.
Si arriverà in poco tempo a una trentina di arresti, ma pare che i nomi fatti sotto tortura fossero più di 200.
Ed è a questo punto che la vicenda non riguarda più solo la povera gente della Ca Botina, ora gli inquisitori bussano anche alla porte delle famiglie in vista, le più altolocate.
La solerzia di Del Pozzo non fa distinzione e inizia a mietere le prime vittime.
Isotta Stella, una nobildonna di 60 anni, morì stremata dalla fame e dal dolore durante le torture; una giovane ragazza di cui non sappiamo il nome, disperata, si suicidò gettandosi dalla finestra. O forse venne uccisa affinché non rivelasse ciò che era emerso realmente durante gli interrogatori.
Il borgo era ormai impregnato di un clima di paura e sospetto. Chiunque poteva essere denunciato.
Nel 1588 il Consiglio degli Anziani di Triora chiese agli inquisitori di essere più cauti nel loro operato, e in seguito alle richieste delle autorità locali giunse da Genova l'Inquisitore Capo, che avrebbe dovuto rasserenare gli animi e portare un po' di giudizio nei procedimenti dei suoi colleghi.
Invece il prelato, dopo un'attenta valutazione, dispose solo la scarcerazione di una tredicenne, riconosciuta innocente e fece trasferire tredici imputate a Genova.
L'inquisitore tornò dunque nel capoluogo lasciando le altre carcerate nelle mani dei loro carnefici.
A giugno Del Pozzo si dimise e lasciò Triora, al suo posto venne inviato un nuovo un commissario speciale, Giulio De Scribani, che invece di porre rimedio a questa follia la incentivò, dato che era fermamente convinto che non fossero ancora state scovate tutte le colpevoli.
La caccia alle streghe raggiunse così anche altri comuni della zona, causando nuovi arresti.
De Scribani condannò infine al rogo quattro donne, ma le alte sfere della stessa Repubblica di Genova, forse stanche e infastidite da questa follia che durava ormai da troppo tempo, chiesero l'intervento del consultore Serafino Petrozzi, che revisionò gli atti del processo e mise in discussione le confessioni avvalendosi dell'aiuto di due dottori di diritto.
Fu intimato a De Scrivani di occuparsi unicamente di questioni politiche e amministrative, dato che i processi per stregoneria erano di competenza della Santa Inquisizione.
Ma De Scribani ignorò queste disposizioni e continuò la sua caccia alle streghe, istituì nuovi processi per acquisire ulteriori prove, vennero svolti nuovi interrogatori, nei quali ovviamente si fece ancora ricorso alla tortura per estorcere le confessioni delle povere imputate, e alla fine il 30 agosto Petrozzi e il governo cedettero e dovettero confermare le condanne a morte. 
Ma fu una decisione di facciata.
Infatti il giorno prima dell'esecuzione intervenne il Padre Inquisitore di Genova, convocato direttamente da Roma.
Essendo il rappresentante dell'Inquisizione romana aveva il potere di prendere decisioni autonome riguardo ai processi per stregoneria, la sentenza finale spettava unicamente a lui, e nel caso di Triora ordinò di trasferire a Genova anche le ultime condannate.
A questo punto il doge genovese Davide Vacca fece richiesta al Santo Uffizio affinché mettesse fine a questo lungo processo. 
Il cardinale Sauli in persona intervenne nel 1589 per fermare i processi istituiti da De Scrivani, ormai fuori controllo, e revocò il potere alle persone che agivano nel borgo di Triora.
Il 23 aprile di quell'anno l'Inquisizione dichiarò concluso ogni procedimento.
Le donne incarcerate a Genova vennero liberate, non si sa se sono mai tornate a Triora, tra quei concittadini che le avevano condannate a due anni di atroci supplizi.
Si conosce invece la sorte di Giulio De Scribani, il quale con la sua caccia indiscriminata si era inimicato molte famiglie altolocate della zona.
Esse riuscirono a ottenere che venisse processato, e Scribani venne inizialmente scomunicato a causa della crudeltà dimostrata durante gli interrogatori, giudicata eccessiva, e per aver ignorato le direttive del Santo Ufficio che gli ordinavano di interrompere i processi.
La sanzione tuttavia venne ritirata su richiesta delle stesse autorità della Repubblica Genovese, dato che De Scribani fece pubblica ammenda.
Col tempo la vicenda di Triora cadde in una sorta di dimenticatoio, divenne infatti uno dei tanti, troppi nomi scritti sui registri dei processi indetti dall'Inquisizione, fino a che alcuni storici non ne riscoprirono la documentazione e riportarono alla luce la verità su quanto era accaduto.
In breve tempo l'interesse verso il processo italiano alle streghe aumentò, tanto che a Triora venne inaugurato negli anni '80 il Museo etnografico e delle stregoneria, dove è possibile leggere i documenti relativi al processo,
e ogni anno si celebra una festa, chiamata Strigora, la prima domenica dopo Ferragosto.
Triora spesso viene definita la "Salem d'Italia".
Salem è una città della contea di Essex, in Massachusetts, dove si è svolto il più famoso processo alle streghe degli Stati Uniti d'America.
La storia è molto conosciuta grazie a numerosi film, pièce teatrali (la più celebre è certamente "Il crogiuolo" del commediografo statunitense Arthur Miller) e più di recente una serie televisiva omonima di successo, i quali raccontano la vicenda, in modo più o meno romanzata.
Nonostante l'accostamento legittimo bisogna precisare che esistono delle sostanziali differenze tra i due casi.
Intanto il processo Salem fu successivo di almeno un secolo rispetto a quello di Triora, iniziò infatti nel 1692.
Diversi sono i motivi che portarono all'apertura della caccia alle streghe, 
a Salem tutto ebbe inizio in seguito alle denunce di giovani ragazze della città, che interrogate sui loro comportamenti sconvenienti sostennero di essere state maledette da alcune concittadine che avevano fatto loro il malocchio, a Triora invece la causa scatenante fu una terribile carestia.
È importante chiarire soprattutto il diverso contesto storico e sociale.
A Salem il processo venne istituito e presieduto dalle autorità puritane americane.
Il puritanesimo, movimento nato all'interno del calvinismo britannico nel XVI secolo, pretendeva una perfetta purezza morale da parte dei suoi fedeli, che dovevano combattere il peccato in ogni sua forma.
Questa rigidità morale va associata a un periodo buio per i puritani del Massachusetts, la guerra di re Filippo contro le tribù di nativi che rifiutavano la conversione al cristianesimo e non volevano cedere le loro terre non stava volgendo a loro favore, e provocava continui spargimenti di sangue e rappresaglie.
I puritani si sentivano abbandonati dalle istituzioni ma soprattutto da Dio.
Questo insuccesso era certamente colpa dei peccati della comunità.
I pastori durante le predicazioni dichiararono che numerosi comportamenti blasfemi avevano indispettito il Signore, e così si prodigarono affinché ogni minimo segno di immoralità venisse segnalato e represso.
Fu quindi per paura che le giovani ragazze di Salem, almeno all'inizio, decisero di dirottare ogni responsabilità dei loro comportamenti ritenuti disdicevoli e sospetti dichiarandosi vittime di un maleficio, e da qui l'inevitabile e inarrestabile apertura della sanguinosa caccia alle streghe.
Inoltre, dettaglio non di poco conto, il puritanesimo non accettava nessuna ingerenza da parte dello Stato nelle questioni religiose. 
Il processo alle streghe era considerato appunto una questione teologica, dove praticare il malocchio e gli incantesimi non era non solo un peccato ma anche un crimine. 
Fu anche per questo che a Salem vennero condannate a morte e giustiziate più persone che a Triora, nella cittadina americana infatti le autorità religiose poterono operare senza intromissioni esterne, cosa che invece accadde nel borgo ligure.
A Triora i procedimenti vennero invece gestiti dalla chiesa cattolica romana.
Questa a differenza dei puritani prevede un rigido rispetto della gerarchia ecclesiastica e soprattutto delle relative competenze.
Pertanto in materia di processi contro le streghe, 
come abbiamo visto, l'Ufficio della Santa Inquisizione aveva totale libertà di decisione e di azione, aveva il diritto di intromettersi nell'operato di sacerdoti e vescovi nel momento in cui lo riteneva opportuno. E già questo è stato un impedimento non da poco per le autorità religiose locali.
Inoltre la Chiesa cattolica non si occupa solo di questioni teologiche, sappiamo che da sempre intreccia la propria predicazione con la politica.
Il potere secolare del Papa è sempre stato vincolato a doppio filo ai rapporti diplomatici con quello temporale dei governanti e dei re.
Pertanto a un certo punto il Santo Ufficio dovette cedere alle richieste dei rappresentanti della Repubblica di Genova, che chiedevano di porre fine a un processo che stava degenerando.
Ad ogni modo entrambe le vicende, seppur lontane nei tempi e nei luoghi, condividono il clima di terrore e isteria collettiva che infettarono le menti dei cittadini e portarono alla sofferenza e alla morte di vittime innocenti, e la testarda arroganza degli inquisitori nel portare avanti i procedimenti nonostante l'assenza di prove chiare.
Elementi purtroppo ricorrenti di quella spietata caccia alle streghe che resterà per sempre una macchia indelebile nella storia della cristianità.